Come un tormentone, puntualmente, torna la polemica sulla lottizzazione da parte dei partiti politici della Rai. Ogni partito, puntualmente indignato dalla situazione, promette una riforma del servizio pubblico radiotelevisivo. Ma forse il tema merita qualche approfondimento.
La Rai è un’azienda pubblica e, pertanto, la governance deve essere decisa dall’esecutivo che indica i dirigenti di tutte le società partecipate dallo Stato. Questo appare pacifico. Ma la Rai, oltre ad essere un’azienda pubblica, fornisce il servizio pubblico radiotelevisivo che ha come principio fondatore la tutela del pluralismo, ossia della corretta rappresentazione delle diverse anime sociali, politiche e culturali del Paese. E quindi è necessario che tutti trovino piena rappresentanza e tutela, tanto che esiste una Commissione bicamerale di vigilanza.
E visto che pluralismo è tutela delle minoranze appare corretto che il potere di nomina dei dirigenti non venga attribuito sic et sempliciter al Governo, ma che vengano coinvolte tutte le forze politiche. Che, come prevede la Costituzione italiana, che forse a rileggerla ogni tanto male non fa, prevede che trovino forma attraverso associazioni costituiti; in altri termini, i partiti politici. Quindi, la famosa spartizione della Rai, la tanto vituperata lottizzazione, altro non è che la concreta attuazione del principio del pluralismo, nel senso della rappresentanza, all’interno della concessionaria del servizio pubblico. La verità è che da tempo la politica ha talmente vergogna di fare la politica che preferisce attaccare sé stessa per un like in più, per un argomento di facile imbonimento della massa roboante.
Il punto di svolta sarebbe ammettere che è giusto che siano i partiti ad indicare in maniera equilibrata i nominativi delle funzioni apicali della Rai; ma con l’impegno dei leader di designare gente capace, colta, in grado di interpretare in maniera equilibrata il ruolo che gli viene attribuito. Oggi non è così.
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