Un giornale come Repubblica è un pezzo della storia recente di questo paese. Dal 23 aprile quella storia è finita. Ne nasce un’altra, ma non è la stessa storia, non può esserla.
Quando Repubblica fu fondata nel 1975 i soci erano Eugenio Scalfari, Carlo Caracciolo, Mario Formenton e Giorgio Mondadori. Era un secondo giornale, un giornale alternativo che si posizionava in una posizione non presidiata dagli altri giornali, a destra di quella di sinistra, Paese Sera, l’Unità, a sinistra di tutti gli altri. Con gli anni Repubblica è cambiata, si è modificata; è diventata un punto di riferimento non solo per i suoi lettori, sempre di più, ma anche per tutti gli altri. C’erano i giornali a sinistra di Repubblica e quelli a destra di Repubblica.
Anche con l’avvento del padrone, l’ingegnere De Benedetti, che non garantiva il sogno dell’editore puro, la chimera dell’informazione in Italia, Repubblica è riuscita a rimanere nei decenni un giornale autonomo. L’autonomia era nella qualità dei giornalisti, nella loro libertà. Repubblica ha scritto la storia perché non ha raccontato la politica; l’ha fatta con battaglie che ha condotto in maniera aggressiva, senza limiti, dando a molti lettori un senso di appartenenza ad un movimento culturale che in una fase della storia è andato oltre i partiti: tangentopoli. Cambiavano le cose, dal pentapartito al sistema maggioritario, da Craxi a Ciampi, da Berlusconi a Prodi, Repubblica ha sempre avuto posizioni, spesso ideologiche, non condivisibili. Ma erano opinioni di cui non si poteva non tener conto perché nascevano da un progetto d’informazione che manteneva saldi i principi, l’autonomia dei direttori e della redazione.
Mauro è subentrato a Scalfari, che aveva fondato e diretto il giornale per venti anni, e per lo stesso periodo ha mantenuto la direzione. D’Avanzo, Bocca, Pansa, Rocca, Augias, Pirani, Turani, solo dei nomi, dei tanti. L’ingresso della famiglia Agnelli nel gruppo Gedi è avvenuto quasi in punta di piedi sull’autonomia del giornale, l’autonomia della redazione di Repubblica sembrava un tabù intoccabile. Poi il 22 aprile viene approvato il bilancio della Gedi con una forte perdita e si formalizza l’ingresso della famiglia Agnelli. Il 23 aprile il direttore Carlo Verdelli viene licenziato. Lo stesso giorno in cui le minacce di morte a lui e alla sua famiglia si dovevano realizzare. Senza informare la direzione. Viene nominato direttore Maurizio Molinari, un ottimo giornalista che viene dalla Stampa. Ma che per cultura e che per formazione segna una distanza incolmabile con la storia di Repubblica.
Gli Agnelli riprendono saldamente il controllo dell’informazione in Italia, questo è un momento particolare per la nazione ed è evidente che una multinazionale che nacque in Italia, ha sede in Olanda, ma che continua ad avere in questo Paese interessi importanti ha bisogno di avere strumenti di pressione. Come è nella storia della famiglia che in una sola mattinata dichiara la fine di quella de La Repubblica.