La critica “commerciale” ha un fine, per c.d. “privato”, vale a dire quello di far risaltare la bontà del proprio prodotto, anche a scapito di quello altrui e non deve mai trascendere in atti di concorrenza sleale, e può anche configurarsi quale strumento di lotta commerciale, ma non può mai esercitarsi tramite la mera invettiva, ma sempre attraverso la ragionata esposizione delle proprie ragioni. È quanto afferma la sentenza n. 42029 della Corte di Cassazione del 17 ottobre 2008. Le relative affermazioni, in altre parole, se espressive di un giudizio negativo nei confronti di terzi, in tanto sono giuridicamente giustificate ex art. 51 cp (e art. 21 Cost.) in quanto, muovendo da un presupposto reale, siano argomentate e rappresentino, per così dire, il precipitato di un ragionamento dimostrativo.
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