Michael Holler, direttore dell’Institut fur Praktische Journalismus (istituto che svolge ricerche nazionali sul rapporto tra lettori e media) e professore di tecniche della comunicazione all’Università di Lipsia, sfata un luogo comune in tempi di congiuntura: Internet non c’entra con il tracollo dei giornali. La colpa, semmai, è del mondo di fare informazione e della crisi delle istituzioni.
Per Holler la decadenza dell’editoria di carta è iniziata negli anni ’80. Quando il web non esisteva ancora. E ovviamente nemmeno la concorrenza dei media digitali (precisiamo che l’intervista a Holler è stata fatta da Der Spiegel, settimanale tedesco, e poi ripresa da Italia Oggi).
Holler afferma che la media dei lettori sotto i venticinque anni è andata progressivamente diminuendo più di trenta anni fa. Negli anni ’80 oltre l’80% dei giovani si informava tramite la carta stampata. Poi si è passati al 70%. E nel 1990 al 60%.
E di chi è la colpa?Per Holler Internet non c’entra. Hanno sbagliato gli editori che non hanno saputo ottenere fiducia dai lettori. Gli approfondimenti sono stati considerati spesso superflui e non attraenti. E si è scaduti nella superficialità. Di conseguenza i lettori sono diminuiti perché non hanno trovato nella stampa un strumento di qualità. Inoltre i giornali non hanno saputo essere lungimiranti. Ovvero non hanno saputo fidelizzarsi con la gente; e non sono riusciti a conquistarsi, nel tempo, una base “fedele” di lettori. Tenendo presente che il mondo è cambiato. E con esso anche le esigenze di informazione.
Ma il giornale ha progressivamente smesso di essere un sussidio per capire meglio il mondo che ci circonda. E qui subentra un fattore “endogeno” rispetto al mondo dell’editoria. È la crisi delle istituzioni “portanti”,ovvero i partiti, i sindacati, le università. Quindi, indirettamente, anche molti argomenti dei giornali hanno perso rilevanza.
Ora, ammesso e non concesso che la diagnosi di Holler sia giusta, serve trovare una cura. Ma occorre farlo in fretta. Prima che sia troppo tardi. Possibilmente ripartendo proprio da quella “cura” dei contenuti che spesso è sinonimo di qualità.