Per un giorno ho resistito, poi per rispetto verso la rubrica, verso i lettori, verso me stesso, ho scritto questo cameo. Premetto d’essere in uno sgradevole conflitto di interessi (non economico, ma amicale): i miei migliori amici sono giornalisti, magistrati, manager, operai, politici, economisti: a seconda dei casi, il meglio o il peggio del mondo d’oggi. Nel mio caso, il meglio. Ciò premesso, ho letto le «carte»: la sentenza contro Sallusti (che non conosco), le dichiarazioni dei vari attori, quelle del giudice Cocilovo, i commenti dei media. Ragazzi, le carte dicono che siamo in presenza non di semplice diffamazione, ma di diffamazione deliberata, conseguente a un articolo (neppure suo, ma per la legge ciò è irrilevante) pieno di falsità: la sentenza è conforme, nulla da eccepire. La controparte di Sallusti ha esaurito le sue mosse e, parlando in termini scacchistici, ha una debolezza mortale alla casella «f 7» del Nero, rischia lo scacco matto. Ciò ha gettato nel panico i tanti nemici che si è fatto nel tempo, soprattutto nell’establishment. Questi sperano che Sallusti accetti un compromesso, però il tempo gioca a loro sfavore. Se Sallusti invece opta per quella che, sempre utilizzando la metafora scacchistica, si chiama la «mossa del barbiere» (per gli inglesi, «scholar’s mate»), ne vedremo delle belle: lui andrebbe in galera ma potrebbe vincere la partita. Spiego la «mossa del barbiere», raccontando un episodio della storia della Resistenza, che ha valore universale, specie in questo periodo di grandi tensioni sociali. Il comando fascista di Torino, insoddisfatto della collaborazione degli operai Fiat, su input dei tedeschi decide in gran segreto di trasportare in Veneto tutte le macchine utensili di Mirafiori (il massimo della tecnologia dell’epoca), e poi deportarvi gli operai. Alle 10 del 5 marzo del ’43, al consueto suono della sirena, l’operaio Leo Lanfranco, membro del Partito Comunista, capo dei manutentori, che aveva capito tutto, posa la sua protesi, la mitica chiave a stella, con un cenno circolare del braccio si avvia verso l’uscita. Camminando lentamente attraverso le officine, nel più assoluto silenzio, via via tutti gli operai di Mirafiori (decine di migliaia) si accodano, nello sbigottimento dei kapò. Mirafiori diventa deserta, e tale rimarrà, i tedeschi beffati. Due anni dopo, Leo verrà assassinato, Torino gli dedicherà una via.
Se Sallusti fra 28 giorni, alle dieci del mattino, depone la sua «chiave a stella», si incammina a piedi verso San Vittore, lo dovesse seguire un popolo, senza una bandiera, senza un contrassegno, nel più assoluto silenzio, nello sbigottimento dei kapò, avrebbe vinto la partita: nel rigoroso rispetto della legge, la libertà di stampa è stata ripristinata.
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