L’innovazione la garantisce l’edizione digitale, ma per sopravvivere serve la carta: il risultato della ricerca condotta da due studiosi dell’Università di Pisa, Andrea Mangani ed Elisa Tarrini, fa tornare in piena luce la centralità della carta stampata, come condizione, necessaria ma non sufficiente, per posizionarsi sul mercato dell’informazione. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista “online information review” ed ha monitorato l’andamento di 2.838 imprese che sono state attive sul mercato dell’editoria italiana dal 1995 al 2014. Il risultato che va in netta controtendenza con un certo sentire comune, diciamo del sentito dire, dimostra che, anche in un momento di forte crisi del mercato in generale, la tanto vilipesa edizione cartacea ha una funzione almeno complementare rispetto a quella digitale. In questi anni per ogni giornale cartaceo che ha chiuso ne sono nati altri digitali; da un lato, quindi, la riduzione degli attori, cosiddetti classici, con i loro anacronistici conti economici fatti redazioni strutturate e conti digitali; dall’altro lato imprese smart, nate digitali. Ma non è tutto oro quello che luccica, come dimostra la ricerca dei due studiosi toscani. Infatti la ricerca evidenzia l’alto indice di mortalità dei giornali nativi digitali che non sono riusciti ad implementare la propria offerta informativa anche con l’edizione cartacea, o con altri mezzi, definiti classici, come la radio o la televisione. Forse il de profundis per la carta stampata è stato celebrato troppo presto; sicuramente troppo spesso.
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