LA BIRMANIA, DOPO MEZZO SECOLO, ABOLISCE LA CENSURA PREVENTIVA SUI MEDIA

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Da oggi i giornalisti birmani non dovranno più far passare i loro articoli al vaglio del famigerato Press Scrutiny and Registration Department prima della pubblicazione. Il governo, attraverso una nota ufficiale sul ministero dell’informazione, ha annunciato infatti l’abolizione della censura preventiva su “tutti i mass media”, a partire da oggi: il provvedimento mette fine a oltre mezzo secolo di restrizioni severissime in vigore da quando, nel 1962, salì al potere la giunta golpista guidata dal generale U Ne Win.

Un notevole passo avanti per la libertà di stampa, che dovrà però superare la prova dei fatti. Restano infatti in vigore leggi restrittive sui libri e sanzioni pesanti per chi con le sue opere e i suoi scritti dovesse “attentare” alla sicurezza del paese.

Inoltre la responsabilità giuridica personale del reporter resterebbe pesante, ed eventualmente punita anche pecuniariamente (gran parte delle nuove pubblicazioni non hanno fondi sufficienti per coprire le spese giudiziarie). Appena un mese fa due settimanali sono stati fatti chiudere temporaneamente solo per aver anticipato un rimpasto ministeriale.

I controlli sulle pubblicazioni avevano avuto un allentamento già l’anno scorso, quando la censura era stata revocata per i testi delle canzoni o delle fiabe, mentre restava in vigore per la maggior parte dei libri e per giornali, televisioni ed emittenti radiofoniche, specie se di matrice politica o religiosa.
In ogni caso si tratta di un passo del tutto inedito in un Paese dove già nell’ultimo anno sono fiorite 300 nuove pubblicazioni, e il regime ha tolto le restrizioni a piu di 30mila website. “La censura preventiva non ha più senso in un processo democratico”, ha commentato lo stesso capo della censura.

La decisione sui media si inserisce nel processo riformistico avviato dal nuovo governo birmano, formalmente civile anche se guidato da un generale a riposo, Thein Sein. Le pur caute aperture hanno raggiunto il culmine con la scarcerazione di centinaia di prigionieri politici a partire dalla leader dell’opposizione non violenta, Aung San Suu Kyi (foto), insignita nel 1991 del premio Nobel per la Pace.

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