Se l’attività svolta dal professionista iscritto all’Albo non è “riservata” dalla legge potrebbe scattare, al verificarsi delle nuove condizioni fissate dalla riforma, una presunzione di lavoro subordinato. È questa un’importante conseguenza per il mondo professionale che emerge dalla lettura dell’articolo 1, commi 26 e 27, della legge 92/2012.
Nel quadro di rivisitazione della flessibilità in entrata particolare attenzione del legislatore è stata riservata ai professionisti iscritti ad un Ordine professionale. In via generale, la riforma ha l’obiettivo di regolamentare i rapporti di lavoro autonomo con soggetti titolari di partita Iva che collaborano in regime di “dipendenza economica”.
La dipendenza economica si realizza al verificarsi di almeno due delle seguenti condizioni:
a) la collaborazione abbia una durata complessivamente superiore ad almeno 8 mesi nell’arco dell’anno solare;
b) il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d’imputazione di interessi, costituisca più dell’80% dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco dello stesso anno solare;
c) il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.
Quindi, è sufficiente che il contratto di lavoro autonomo abbia una durata superiore a 8 mesi e il compenso rappresenti almeno l’80% dei corrispettivi percepiti dal collaboratore, per far scattare una serie di presunzioni di legge che portano il rapporto ad essere qualificato quasi certamente come lavoro subordinato (salvo prova contraria). Proprio qui nasce il problema dei professionisti iscritti ad un Ordine professionale con riferimento ai quali nel testo di riforma sono presenti due norme: l’articolo 1 comma 27 della legge 92/2012 e l’articolo 69 bis, comma 3, del Dlgs 276/2003 così come è stato introdotto dall’articolo 1, comma 26 della legge 92/2012.
L’articolo 69 bis, comma 3, prevede un’ipotesi di esclusione dei professionisti dalle nuove disposizioni. Tuttavia, l’esclusione riguarda solo le prestazioni lavorative svolte nell’esercizio di attività professionali «per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un ordine professionale». Tutte le altre attività che l’ordinamento non considera “riservate”, almeno sul piano letterale sembrerebbero essere ricomprese nel campo di applicazione della norma.
Va infatti osservato che la pluralità e la diversità delle professioni italiane non consente agevolmente di individuare quali attività possano essere considerate riservate dalla legge e quali invece, tali attività sono considerate tipiche per l’ordinamento e strettamente affini e connesse con le attività riservate; la conseguenza potrebbe essere un rilevante contenzioso.
L’esclusione riguarda anche altri professionisti non iscritti ad un Ordine professionale bensì in appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati, che saranno oggetto di ricognizione con un decreto del Lavoro, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della riforma (in questo caso rileva l’iscrizione e non l’attività).
Con un’ulteriore disposizione di interpretazione autentica (articolo 1, comma 27 della legge 92/2012) è stato chiarito in modo molto restrittivo anche l’ambito di applicazione delle attività professionali svolto con il lavoro a progetto. In particolare, la norma che esclude dal campo di applicazione del lavoro a progetto i professionisti, si interpreta nel senso che tale esclusione «riguarda le sole collaborazioni coordinate e continuative il cui contenuto concreto sia riconducibile alle attività professionali intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali. In caso contrario, l’iscrizione del collaboratore ad albi professionali non è circostanza idonea di per sé a determinare l’esclusione dal campo di applicazione del suddetto capo I del titolo VII».
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