«In prigione, nel carcere di Benevento, durante l’ora d’aria, quando provavo a spiegare il motivo per cui ero finito lì dentro con loro, gli altri detenuti facevano tanta fatica a capire E mi dicevano: davvero sei qui solo per un ‘omesso controllo’? In Italia si può finire in galera anche per un articolo di giornale?».
Gianluigi Guarino, 47 anni, è uno dei pochissimi giornalisti italiani ad aver scontato davvero il carcere: 43 giorni per una serie di articoli pubblicati sul ‘Corriere di Caserta’ (di cui all’epoca dei fatti era direttore).
Ora quasi ride nel raccontare la sua esperienza. Finì in cella il 10 luglio del 2010, ma senza suscitare movimenti d’opinione o accesi dibattiti. Solo la Federazione nazionale della stampa e l’Ordine dei giornalisti presero una posizione pubblica, contestando il suo arresto. Per il resto nulla, silenzio generale. «Proprio per questo motivo quando sui giornali ho letto in questi giorni tutto il polverone sollevato per il caso Sallusti, mi sono stupito. Quando si trattò di me non accadde nulla di tutto questo, anzi…», dice Guarino. E aggiunge: «La differenza forse è che io sono solo un piccolo cronista di provincia».
Spiega tranquillo Guarino: «Andai in carcere per colpa mia, chiariamolo subito. Si trattò di distrazione, mia e dei miei avvocati che poi dovevano essere anche i legali del giornale. Accumulai quindici condanne in primo grado, mai appellate. Così quell’estate il tribunale di Salerno diede corso semplicemente a un atto dovuto».
Quando un altro avvocato prese in mano la pratica, chiese e ottenne, in pieno agosto, l’applicazione dello sconto di pena utilizzando l’indulto.
Guarino (oggi direttore del sito Casertace.net) non si è mai sentito un perseguitato. «Non ci fu nulla di premeditato nei miei confronti, la giustizia fece il suo corso e io tanti errori», racconta. «Comunque quella mattina – era il 10 luglio del 2010 – certo non mi aspettavo di essere arrestato. E così i primi giorni di carcere furono difficili. Poi mi ambientai».
Di quei 43 giorni ora ha molti ricordi: «La solidarietà degli amici, dei colleghi di sempre». E poi, i compagni di prigione: «Ero nella sezione dei delinquenti comuni e in una cella di 13 metri quadri eravamo in tre. La condividevo con un maresciallo della Guardia di Finanza condannato per corruzione e con un noto avvocato di Benevento che peraltro aveva come moglie un magistrato. E’ stata un’esperienza umana intensa come poche, e li ho capito che in carcere non ci sono mostri, piuttosto, persone normali che hanno fatto degli errori, che stanno scontando la loro pena. Molti cercano una seconda chance. Per questo il penitenziario ha o dovrebbe avere un ruolo sociale importante».
Sul caso Sallusti Guarino è prudente: ha la sua idea: «Bisognerebbe prima leggere bene le carte. Forse a Sallusti addebitano la diffamazione contenuta in quel pezzo perché si deve essere rifiutato, all’epoca del primo interrogatorio, di rivelare il nome dell’estensore dell’articolo». Sulla legge che porta in galera i giornalisti, invece, ha le idee chiare: «Va cambiata, oggi come ieri».
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