Internet è, ormai, uno strumento indispensabile. Tutto, o quasi, passa per la rete. Il web si è dimostrato anche fautore di democrazia e libertà di espressione. È un territorio franco, in tutti i sensi. Ciò, tuttavia, crea non pochi problemi e nodi da sciogliere: quale è il giusto equilibrio tra libera condivisione dei contenuti e diritto d’autore? E ancora: quale è il confine tra la tutela della privacy e diritto all’informazione? In poche parole: quali sono i diritti della rete nella rete?
C’è chi ritiene che internet sia nato libero e così debba rimanere: cioè senza regole restrittive che ne destrutturerebbero la natura. Ma c’è anche chi ritiene necessario, all’opposto, stabilire dei confini precisi e dei limiti.
Un problema centrale è la difesa della proprietà intellettuale. E in effetti al di là delle opinioni sulla “invasività” della tutela del diritto d’autore, l’Agcom non ha ancora deliberato in tal senso. Proprio in questi giorni, però, Maurizio Décina, commissario in quota Pd dell’Autorità,ha promesso un regolamento a favore della proprietà intellettuale pur senza intaccare la libertà della rete.
«Si tratta di coniugare i due interessi in gioco: internet libero e diritto d’autore» spiega. Ma trovare una quadra equilibrata non sarà semplice. Infatti la condivisione libera dei contenuti contrasta, quasi “ontologicamente”, con la tutela del copyright. Inoltre internet non ha confini. Quindi potrebbe non bastare un regolamento nazionale. Piuttosto sarebbe auspicabile un accordo sovranazionale. Ma ogni Paese la pensa a modo suo. La ratifica e la bocciatura del trattato Acta (varato per tutelare il diritto d’autore nelle sue molteplici forme, dai brevetti industriali alle canzoni) ne è un lampante esempio: alcuni Stati lo hanno accettato, come gli Usa e il Giappone; altri no, come l’Italia e la Germania.Di conseguenza bisogna pensare a questo (relativamente) nuovo problema con “categorie” mentali diverse. Ne è consapevole lo stesso Décina, secondo il quale: «Servono forme più moderne di tutela del diritto d’autore, come le licenze collettive. E poi la condivisione lecita [senza scopo di lucro, ndr] non va ostacolata». E poi «vanno rimossi i regimi di esclusiva e le finestre di distribuzione. Allo stesso tempo va promossa la diffusione di contenuti di qualità e la formazione di nuove forme di remunerazione». In tal senso qualcosa si sta già muovendo. Basti pensare alle pubblicità che “anticipano” i video su You Tube e che “condiscono” i servizi di posta elettronica.
Tra le presunte “vittime” della mancanza di un diritto d’autore per la rete ci sono le imprese discografiche. La pirateria della rete avrebbe sottratto all’intera filiera della musica decine di milioni di euro all’anno. «Tredici anni fa il nostro fatturato era di 13 milioni. Ora abbiamo perso il 75%. Di conseguenza paghiamo meno tasse. E sono calati i posti di lavoro dell’intero comparto, dai cantanti ai commessi nei negozi. Le imprese non investono più nella ricerca di nuovi talenti. Ed è l’intera collettività a pagarne le conseguenze». È lo sfogo di Caterina Caselli, nota produttrice e cantante italiana, pubblicato dal Corriere della Sera. «Il copyright è uno strumento di libertà e di creatività. Allora, produttori di contenuti:uniamoci tutti e difendiamo il prodotto del nostro ingegno», ha concluso la Caselli sulle pagine del quotidiano di Via Solferino.
C’è da dire che le problematiche relative al diritto d’autore si sono estese anche alle partite di calcio. Il tribunale di Milano, pochi giorni fa (l’11 gennaio), in seguito ad una denuncia di Mediaset, ha oscurato dieci siti stranieri “colpevoli” di aver trasmesso incontri calcistici senza averne il diritto. Hanno, dunque, secondo il tribunale ambrosiano, violato il diritto d’autore.
Si tratta di un reato che, di solito, non si associa alle partite di calcio. Ma a contenuti di matrice intellettuale: film, musica, testi scritti. Il gip ha motivato così la decisione: «Le partite di calcio non sono da considerare un’opera intellettuale»; tuttavia, essendo caratterizzate da «apporti di tipo tecnico e creativo» anche le gare calcistiche «possono rientrare tra le opere tutelate». E in effetti la messa in onda di un match presuppone una regìa, il lavoro dei tecnici, quello dei commentatori. I quali, in qualche modo, caratterizzano la partita, rendendola, di fatto, un prodotto “originale”. E tale argomentazione è anche giustificata dall’ articolo 171 della legge 633 del 1941, modificata dal decreto legge del 31 gennaio del 2005. Tale provvedimento inserisce nel corpo della legge la lettera a-bis. La quale prevede sanzioni penali per chi, per qualsiasi scopo, «mette a disposizione del pubblico, immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera dell’ingegno protetta, o parte di essa».
Dunque il mondo del web porta con sé un corollario di problemi e “distorsioni” non difficile soluzione. Tuttavia il comparto della produzione di contenuti sul web è in crescita. E i suoi numeri stanno diventando sempre più significativi. Ne è un esempio l’editoria.
Non a caso molti giornali e testate televisive stanno investendo sui contenuti digitali. Ormai quasi tutti le testate hanno la loro pagina web. La quale non è più solo un supporto telematico alla carta. Ma sembra destinata a diventare un punto forte dell’informazione. Solo per fare qualche esempio, Il Denaro, quotidiano economico e delle professioni della Campania, e Il Sole 24 Ore, testata nazionale di riferimento per il mondo dell’economica, hanno iniziato il 2013 con un progetto di evoluzione digitale dell’informazione. E al riguardo il giornale diretto da Roberto Napolitano illustrerà in anteprima, stasera, i dettagli del nuovo progetto “di fusione” tra carta e web.
Ma, ritornando alle “dolenti noti” e ai problemi irrisolti della rete, non possiamo escludere quelli relativi alla privacy. Anche in questo caso c’è un “alter ego” da salvaguardare: il diritto all’informazione.Ovvero bisognerebbe delineare i confini tra la tutela della riservatezza e dei dati personali e il suddetto diritto all’informazione.
Per essere chiari partiamo da un recente caso di cronaca: un giornale telematico, “PrimaDaNoi.it” è stato condannato dal Tribunale di Ortona (Chieti) per violazione della privacy. In particolare il quotidiano ha mantenuto nel suo archivio una notizia riguardante una vicenda di cronaca vecchia di due anni e mezzo. Per il giudice l’articolo è stato “mantenuto in vita” troppo tempo. Il soggetto della notizia ha avuto riconosciuto dall’autorità giudiziaria il diritto all’oblio: ovvero a non comparire sulle pagine dei giornale ad anni di distanza dal caso in questione. «Il persistere del trattamento dei dati personali ha determinato una lesione del diritto dei ricorrenti alla riservatezza e alla reputazione», ha deciso il giudice. E la multa per la violazione al diritto all’oblio è stata di 17 mila euro.
Dunque, così come il confine tra diritto d’autore e libertà della rete, anche quello tra privacy e diritto all’informazione è labile. Tanto più perché ci sono in gioco due diritti “sommi”.
Del cosiddetto “diritto all’oblio” se ne parla anche in giurisprudenza. Tale facoltà prevede, per l’interessato, la non diffondibilità di precedenti notizie sul proprio conto. In genere si invoca per precedenti poco lusinghieri, quali condanni, accuse o altri dati personali “sensibili”. Il tutto è derogabile nel caso in cui ci sia un’intersezione con nuovi fatti di cronaca e di interesse pubblico. La giurisprudenza ha confermato che «è riconosciuto un “diritto all’oblio”, cioè il diritto a non restare indeterminatamente esposti ai danni ulteriori che la reiterata pubblicazione di una notizia può arrecare all’onore e alla reputazione, salvo che, per eventi sopravvenuti, il fatto precedente ritorni di attualità e rinasca un nuovo interesse pubblico all’informazione».
Facile a parole. Un po’ meno nei fatti. Soprattutto nell’era di internet, visto che una volta che un contenuto entra in rete è quasi impossibile cancellarlo del tutto.
Anche la Cassazione si è espressa sul diritto “alla dimenticanza”. I Supremi giudici hanno stabilito che i titolari del giornale in questione avranno l’obbligo di contestualizzare e aggiornare le notizie. Il tutto tramite una «predisposizione di un sistema idoneo a segnalare la sussistenza di un seguito e quale esso sia stato […], consentendone il rapido ed agevole accesso da parte degli utenti al fine del relativo adeguato approfondimento». In poche parole gli archivi digitali andranno continuante aggiornati. Tale sentenza , di qualche mese fa, ha riguardato uno dei maggiori quotidiani nazionali: il Corriere della sera. Ma le disposizioni potrebbero essere “generalizzate” a tutti i giornali.
Tanto per essere più chiari cerchiamo di spiegare in breve il caso in questione. Siamo nel 1993, ai tempi di Tangentopoli. Un assessore di un Comune della provincia di Milano viene arrestato per corruzione. Il Corriere ne ricava un articolo. Poi l’interessato viene assolto. Ma la notizia del suo arresto rimane (ed è ancora reperibile). L’uomo, di conseguenza,chiede la cancellazione delle sue “tracce” nell’articolo. Sia il garante della privacy, però, che il tribunale di Milano, gli danno torto. La notizia è vera. Quindi non può essere cancellata. L’oblio, dunque, non può essere concesso. Perché il pezzo ha comunque “fotografato” un evento realmente accaduto e non avrebbe avuto senso, sempre secondo i giudici, “nascondere” l’articolo ai motori di ricerca. Quello che oggi si sottolinea, semmai, è una sorta di obbligo, per il titolare dell’archivio, di aggiornare e contestualizzi l’accaduto dandone una “completezza storica”. Va bene, dunque, lasciare l’articolo sul web, ma occorrerebbe anche spiegare all’eventuale lettore come si è poi evoluta, in seguito, la vicenda. Più facile a dirsi che a farsi. Si tratta, infatti, di un compito a dir poco arduo. Che costringerebbe i media che si occupano di giudiziaria a trasformarsi in assidui controllori dei tribunali per una giustizia “minuto per minuto”, giorno per giorno, mese per mese (in questo caso, anno per anno).
E poi l’eliminazione delle notizie “tout court” (ammesso che ce ne sia la necessità) sembra ancora più difficile. Ormai gli articoli dei giornali, così come gli altri contenuti, viaggiano indisturbati tramite link su Facebook, Twitter, altri giornali, blog privati ecc. Riuscire a scovarle e a bloccarle, teoricamente sarebbe anche possibile, ma nella prassi non lo è. Sarebbe come cercare il classico ago nel pagliaio. «Dio perdona, la rete no», ha affermato, di recente, il commissario europeo che ha scritto la riforma della privacy e del trattamento dei dati personali, Viviane Reding. Un modo per dire che la rete non dimentica nulla. Ricordatevelo!
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