Le controversie instaurate da un’emittente radiotelevisiva per far cessare i disturbi provocati da successivi utilizzatori della stessa frequenza rientrano nella competenza del giudice ordinario.
Il ricorso del soggetto “ostacolato” nella trasmissione del segnale non mette in discussione la legittimità del titolo rilasciato al concorrente, ma la liceità del comportamento tenuto da quest’ultimo in violazione del suo diritto a non subire interferenze nello svolgimento dell’attività televisiva.
Così le Sezioni unite civili della Cassazione con l’ordinanza 22647/07 depositata lo scorso 29 ottobre hanno indicato il tribunale civile come organismo deputato a decidere nel caso di disturbi del segnale imputabili a un altro soggetto concessionario.
E non può essere accettata la tesi del controricorrente secondo cui gli articoli 3 della legge 223/90 (nota come «legge Mammì») e 1 della legge 122/98 «attribuirebbero invia esclusiva al ministero delle Comunicazioni e ai suoi organi periferici la competenza a risolvere i problemi cagionati dalle interferenze nell’uso delle radiofrequenze».
La Suprema corte ricorda come già in passato sia stato chiarito che la legge 223/90 e le sue successive modificazioni conferiscono al ministero e all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni una serie di poteri di vigilanza e di controllo. Ma ciò non comporta che, di fronte alle interferenze, «l’interessato non disponga di altre forme di tutela se non quelle rappresentate dai predetti poteri e dal ricorso al giudice amministrativo contro il loro mancato o scorretto esercizio». (sole 24 ore)