Non ci sono mai buone notizie per la stampa quando ci si occupa di intercettazioni. Il bavaglio, totale o parziale che sia, è sempre dietro l’angolo. La riforma targata Severino non fa eccezione. A stare al testo che qualche settimana fa il ministro della Giustizia ha distribuito ai partiti almeno tre novità risultano incontrovertibili. Una riguarda il divieto di pubblicare “per riassunto” gli atti di un processo. Le altre due attengono alle sanzioni: l’arresto fino a 30 giorni, e per le telefonate da distruggere o che coinvolgono terze persone estranee alle indagini fino a tre anni, e multe assai salate, in caso il cronista e il suo giornale decidano di pubblicare i testi relativi.
Premessa d’obbligo: Paola Severino sta ancora studiando il vecchio testo Alfano, passato attraverso tre anni di estenuanti mediazioni, e alla fine congelato alla Camera. Dai suoi uffici però è uscita una prima bozza rivisitata. E lì c’è traccia del possibile bavaglio. Ecco i punti critici. A partire dalla punizione per chi, incurante delle restrizioni, decide di riprodurre telefonate che riguardano i famosi “terzi”, coinvolti in un ascolto ma senza un ruolo attivo nel processo.
Già il vecchio testo prevedeva il carcere da sei mesi fino a tre anni per chi decideva di pubblicare “atti e contenuti” di conversazioni destinate alla distruzione. La stessa pena, nel testo di Severino, viene confermata anche per chi pubblica materiale che riguarda “fatti, circostanze e persone estranee alle indagini di cui sia stata disposta l’espunzione”.
Dopo gli incontri di un mese fa del Guardasigilli con le forze politiche – tavolo cui partecipavano Pdl, Pd, Udc, Fli – i suoi uffici hanno distribuito un copia del ddl sulle intercettazioni in cui sono evidenti, per effetto di neretti, sottolineature, cancellazioni e aggiunte, le modifiche di Severino. Il carcere da sei mesi a tre anni anche per chi pubblica gli ascolti dei terzi non coinvolti è tra queste novità. Un’altra riguarda le multe, assai salate, nonché l’arresto fino a 30 giorni, per chi decide di pubblicare conversazioni destinate al segreto fino alla discovery del processo. La multa parte da 2mila euro e può arrivare fino a 10mila. “Graziato” l’editore perché “la sanzione pecuniaria da 50 a cento quote” risulta cancellata.
Un’altra cancellatura “pesante” balza all’occhio sugli spazi di pubblicazione, disciplinati dall’articolo 114 del codice di procedura penale. Nella mediazione tra l’ex Guardasigilli Angelino Alfano e la presidente della commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno, era entrata una clausola di salvaguardia per il cronista. Al secondo comma dell’attuale 114, dove è scritto “è vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”, l’ultimo testo riportava la frase “di tali atti è sempre consentita la pubblicazione per riassunto”.
Ciò garantiva, dopo un’ordinanza di custodia cautelare o un decreto di perquisizione o sequestro, la possibilità di pubblicare “per riassunto” gli atti. Ma queste due righe risultano cancellate dal testo Severino. Il risultato è evidente. Salvo che il ministro non cambi idea scatterà il black out fino al processo. Proprio quello che voleva Berlusconi.
Il calendario della Camera prevedeva che già questa settimana si dovesse discutere di intercettazioni. Ma al Pdl, che preme per approvarle, il ministro ha chiesto ancora tempo. Preoccupata com’è di tenere aperti due fronti caldi tra Montecitorio (ascolti e falso in bilancio) e Palazzo Madama (responsabilità civile dei giudici e anti-corruzione). Ha detto che sta studiando ulteriori modifiche. C’è da augurarsi che non limitino il diritto di cronaca.
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