Niente fiducia sulle intercettazioni. “Napolitano non la vuole” dice una super fonte del Pdl. “Colombe” al lavoro da qui a mercoledì. Per togliere alla legge bavaglio proprio quell’etichetta definita adesso “odiosa” dai berlusconiani più vicini al premier. Trasformarla in un’occasione per avvicinarsi all’Udc, per convincere il Terzo polo all’astensione, per recuperare “pure il voto di Giulia Bongiorno”, per mettere in difficoltà Pd e Idv accettando qualche loro emendamento. L’obiettivo è allentare la tensione su questa legge, per poi portare a casa, possibilmente senza polemiche e senza incorrere in uno stop del Colle, la prescrizione breve per gli incensurati che ormai ha i giorni contati, visto che a metà novembre potrebbe già arrivare la sentenza sul caso Mills.
Alla mediazione sugli ascolti lavora Niccolò Ghedini in persona. E con lui il neo relatore Enrico Costa. Che perfino sul carcere per i giornalisti, fino a tre anni per chi fa uscire telefonate irrilevanti, o da distruggere, o su terze persone non indagate, è pronto a dire: “Io ho già dichiarato che non mi iscrivo al partito di chi vuole infierire sulla stampa”. E cita l’ipotesi alternativa della democratica Ferranti – pene differenti a seconda di cosa si pubblica – come piattaforma per un possibile confronto.
Ma la sorpresa più significativa, con un passo indietro nel giro di soli due giorni, arriva sull’udienza filtro e sul blackout che lo stesso Costa aveva teorizzato con il suo emendamento per riprendere una parte della legge Mastella e che ha causato le dimissioni da relatore della Bongiorno. Sarà per i buoni consigli di Napolitano che ha sempre teorizzato una legge condivisa. Sarà per il timore che il Colle possa mettersi di traverso. Sarà per la pressione della stampa. Sarà per la preoccupazione di andare sotto col voto segreto, anche se lo stesso Costa è convinto che sulle intercettazioni la maggioranza “potrebbe essere assai più ampia della nostra perché tutti le hanno in odio”. Fatto sta che, le 13 passate da poco, quando Ghedini scivola via da Montecitorio, riservatamente già dice a Costa che in questo weekend dovranno lavorare ad avvicinare l’udienza filtro al momento in cui le intercettazioni compaiono in un’ordinanza di arresto, o in un altro atto del pm autorizzato dal giudice.
Costa parte per Mondovì, la sua città, torna a casa, ma il suo telefono è caldo di contatti. Lascia intendere che “la voglia di trovare una soluzione c’è, ma la via non è facile”. L’ipotesi più semplice, piazzare l’udienza filtro direttamente a ridosso degli arresti, per decidere subito quali intercettazioni sono rilevanti e quali no, contrasta col fatto che il gip ha già “costruito” un provvedimento con le intercettazioni rilevanti per dimostrare la colpevolezza. Perché dovrebbe ridurle in vista di un’uscita sui giornali?. E soprattutto perché il giudice dovrebbe farsi carico della “rilevanza giornalistica” delle intercettazioni? Alla fine sarebbe più semplice se, a monte, fosse lo stesso gip a operare una selezione ragionata delle telefonate. Quelle che finiscono nell’ordinanza si pubblicano, e la faccenda è chiusa.
La strada è stretta. Ma il passo politico resta e pesa. Costa ne riassume il senso: “Ci accusano di avere posizioni preconcette, non è così, lo dimostreremo lavorando a un possibile punto di incontro”. A Ghedini scappa una battuta: “Io non sono mai stato un falco, sulle intercettazioni sono aperto al confronto”. Perfino sul cosiddetto tribunale collegiale, delegato ad accettare o a respingere la richiesta del pm di mettere le microspie. Costa sta valutando gli emendamenti del centrista Roberto Rao, si potrebbe tornare a un solo giudice, o mantenerne tre per la prima autorizzazione e solo uno per i macchinosi rinnovi successivi ogni 15 giorni. Disponibilità identica sulle riprese audiovisive in cui potrebbero essere prese di peso le soluzioni del Pd e di Di Pietro.
La domanda inevitabile è perché, proprio adesso, il Pdl faccia marcia indietro e riscopra il dialogo. La risposta realistica è una sola. Abbassare la tensione in vista del voto al Senato sulla prescrizione breve che salva Berlusconi da una condanna certa per corruzione. Ormai è questione di giorni tra chi taglierà prima il traguardo, se la sentenza di Milano, o se la legge sulla prescrizione breve che “libera” il premier dal processo e lo fulmina perché il tempo dell’azione penale risulterebbe scaduto. Tutto è nelle mani di Napolitano. Un giorno in più per la firma è i giudici decidono. Inutile, dunque, irritarlo sulle intercettazioni con la fiducia. Che costringerebbe il governo a un maxi emendamento con qualche problema tecnico di ammissibilità.
(Repubblica.it)
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