Categories: Giurisprudenza

Ingiuria, il criterio per la ravvisabilità del reato è il contenuto della frase pronunciata

In tema di ingiuria il criterio cui fare riferimento ai fini della ravvisabilità del reato è il contenuto della frase pronunziata e il significato che le parole hanno nel linguaggio comune. Lo stabilisce la Cassazione Penale nel giudicare una controversia tra privati originata dalla presunta diffamazione di una delle due parti. Il giudice di appello ha ritenuto che nel contesto in cui erano state pronunciate le parole queste avevano una valenza offensiva dell’onore della parte civile, avendole attribuito una condizione psico-patologica. Nel ricorso in Cassazione è stato presentato un vizio di motivazione, avendo il tribunale trascurato il rapporto di confidenza esistente tra le parti e il contesto in cui il fatto si è verificato. Un altro vizio di motivazione è stato presentato in relazione al mancato riconoscimento dell’esimente della provocazione: la non punibilità, dovuta allo stato d’ira determinato dal fatto ingiusto altrui, ricorre quando il soggetto attivo ponga in essere la condotta astrattamente offensiva, mosso da uno stato d’animo direttamente riconducibile a un comportamento altrui che, sebbene non illecito o illegittimo, sia contrario alle regole comunemente accettate nella civile convivenza. Queste le valutazioni della Suprema Corte. E’ di tutta evidenza che, alla luce del linguaggio comune, l’attribuzione all’interlocutore di uno stato patologico di questo tipo è espressa comunemente con termini critici più diretti e mirati sulle capacità mentali. L’aggettivo esaurito, sinonimo di vuoto, di finito, nello specifico episodio di cronaca quotidiana vissuto dai protagonisti, non riveste carattere offensivo, in quanto è diretto verso una persona che ha mostrato di essere vuota, nel senso di aver esaurito la propria capacità di sopportazione, la propria tolleranza per l’irregolare comportamento del vicino. L’interpretazione che individua il significato dell’aggettivo in malato di mente, oltre ad essere non necessariamente corrispondente al suo significato nel linguaggio comune, non corrisponde ad un criterio di media convenzionale in rapporto alle personalità dell’offeso e dell’offensore. Pertanto la Cassazione annulla senza rinvio la sentenza d’appello.

Giannandrea Contieri

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