INDAGINE EUROBAROMETRO SULLA PRIVACY: IL 64% DEI CITTADINI EUROPEI È PREOCCUPATO

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Per la quarta volta, dal 1991, un’indagine Eurobarometro prende in esame la percezione di cittadini ed imprese rispetto alla protezione dei dati personali in Europa. Il quadro che emerge è molto composito. Il campione comprende circa 27.000 cittadini nei 27 Paesi UE e 4.835 imprese, intervistati ad inizio 2008. Le domande poste ai due gruppi, seppure formulate e organizzate in modo diverso, hanno riguardato sostanzialmente la conoscenza della normativa nazionale e dei propri diritti/doveri, la percezione del livello di pericolo per i propri dati personali, anche rispetto all’uso di Internet, la conoscenza delle autorità nazionali e del loro lavoro, il rapporto fra protezione dati e sorveglianza per finalità connesse alla lotta contro il terrorismo.
Sul versante cittadini, colpisce soprattutto l’elevata preoccupazione manifestata in tutti i Paesi per i propri dati personali (media: 64%), un dato che rimane sostanzialmente invariato nel corso degli anni. Gli elementi positivi sono che la stragrande maggioranza dei cittadini sa di avere alcuni diritti: opporsi all’uso per scopi di marketing diretto, dare il consenso, chiedere la cancellazione o rettifica, diritto ad un’informativa adeguata.
Sono però più numerose le ombre. Più della metà dei cittadini non ritiene che la protezione offerta ai propri dati (dalle norme nazionali) sia sufficiente; più di un terzo, in media, non sa di aver diritto al risarcimento in caso di danni derivanti da abusi; la metà non sa che ha il diritto di accedere ai propri dati personali detenuti da terzi. Appena 1 cittadino su 6 sa che non si possono trasferire dati verso Paesi extra-Ue che non garantiscono un livello adeguato di protezione. Solo il 28% sa che esiste un’autorità nazionale incaricata della protezione dei dati (in Italia 1 cittadino su 3 ne è consapevole) – un dato che non è cambiato rispetto a quattro anni fa.
Sembra, quindi, che ci sia molto da fare, soprattutto per sensibilizzare i cittadini rispetto ai propri diritti e far conoscere le attività ed i poteri delle autorità nazionali. Il fattore educazione risulta, quindi, estremamente importante: è su questo versante che le autorità sembrano chiamate ad impegnarsi di più.
Per quanto riguarda le imprese, l’indagine mostra, invece, qualche ombra in meno. La metà non crede che le norme nazionali siano in grado di tutelare sufficientemente i cittadini, e circa il 50% non ritiene sufficiente l’armonizzazione delle norme a livello europeo. La consapevolezza dei doveri legati alla normativa in materia è diffusa, e qui l’Italia guida la classifica: il 96% delle imprese italiane sa che deve fornire un’informativa sulla privacy (o una privacy policy) e la aggiorna regolarmente, e più di 2/3 verifica quante volte la policy sia visitata dagli utenti. Ben 4 imprese su 10, in Italia, hanno contattato il Garante contro una media europea del 13%. Per l’80% delle imprese, inoltre, occorre concentrarsi in futuro su norme più armonizzate in materia di informativa, e ben il 75% chiede maggiori chiarimenti sull’applicazione di definizioni e concetti-chiave della direttiva UE.
Un discorso a parte merita il rapporto fra protezione dati e lotta al terrorismo, sul quale cittadini ed imprese hanno manifestato lo stesso atteggiamento. La maggioranza è nettamente favorevole ad una sorveglianza potenziata (telefono, Internet, linee aeree), ma è anche nettamente contraria a misure generalizzate e di durata illimitata. Sì, dunque, a misure di sorveglianza più severe se finalizzate alla lotta contro il terrorismo internazionale, ma deve trattarsi di misure limitate nel tempo e focalizzate su alcune categorie di soggetti (ad esempio, solo soggetti sospettati di appartenere ad organizzazioni di stampo terroristico).
Fabiana Cammarano

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