Centodieci persone “immolate” da un procedimento, a volte basta poco per chiudere una voce libera. Il caso della Cronaca di Cremona e dell’indagine che ne ha provocato la chiusura nelle parole di Massimo Boselli Botturi

La crisi ma non solo. In un momento non certo felice per giornali italiani sono spesso anche vicende legali a minare la sopravvivenza delle voci del territorio. Vicende che spesso si risolvono in un buco nell’acqua e che ledono solo a chi nel giornale ha messo tutto sé stesso. E’ il caso dell Cronaca di Cremona e dell’indagine a carico dell’amministratore delegato Massimo Boselli Botturi. Un’indagine conclusa con l’assoluzione da tutti i capi d’accusa e con oltre cento persone senza lavoro.
La Cronaca era un quotidiano edito dalla società cooperativa Nuova Informazione nata a Cremona nel 1992 come cooperativa di giornalisti e di poligrafici. Costituiva una seconda voce per la provincia di Cremona, una voce che si occupava di cultura, di informazione e che era rappresentazione di pluralismo democratico. Il giornale nasce nel 2003 e dopo poco ha aperto una redazione anche nella vicina provincia di Piacenza. Un gruppo di imprenditori diede vita ad un giornale nel 2002, che però fallì dopo alcuni mesi. Alla chiusura la cooperativa Nuova Informazione decise di trasferire anche su Piacenza un’edizione di Cronaca, nacque così la Cronaca di Piacenza. Dal 2003 la cooperativa Nuova Informazione ha editato entrambi i giornali fino al procedimento a carico dell’amministratore delegato.

La vicenda giudiziaria quando ha inizio?
Le vicissitudini giudiziarie sono iniziate nel dicembre 2010 in un modo clamoroso e ‘rumoroso’: nel corso di un’operazione della Guardia di Finanza e della magistratura di Cremona vengono eseguiti cinque arresti (tra cui il mio, quello di mia moglie e quello del commercialista della cooperativa) e vengono notificati avvisi di garanzia ai soci della stessa cooperativa ed agli editori di un giornale della provincia di Reggio Emilia diffuso anche a Parma, Modena e Bologna che faceva capo al Gruppo L’Informazione.

Quali erano i capi d’imputazione?
Premetto una cosa: ne abbiamo viste di tutti i colori. Il capo d’imputazione più importante era truffa aggravata ai danni dello Stato che si sarebbe esplicitata, secondo i due marescialli della Guardia di Finanza di Cremona (Nocerino e Iacuti), nel fatto che alcuni soci della cooperativa Nuova Informazione erano anche soci dell’altra cooperativa. Queste due, percependo entrambe contributi pubblici, non potevano avere alcun tipo di collegamento o controllo. Questo prevede la legge, è una legge del ’90, molto importante per il mondo dell’editoria e la conosciamo benissimo. E’ una legge che secondo la Procura, dopo quattro anni, a Cremona, Piacenza e Reggio Emilia non è stata violata.

La Cronaca era un punto di incontro l’informazione e i cittadini? Che funzione riusciva a svolgere per il territorio?
Era un giornale molto vivace, importante e apprezzato. Negli anni aveva saputo costruire un suo fedele pubblico di lettori e interagiva con la città in un modo molto importante al di là della presenza nelle edicole di Cremona e Piacenza. Era un forum di discussione, abbiamo spesso organizzato discussioni e incontri su temi importanti. Venivano organizzati dibattiti pubblici prima delle elezioni dei vari sindaci, sia delle città che anche in paesi limitrofi. Cronaca era diffusa in maniera capillare in queste provincie ed era espressione di democrazia. Portava linfa vera in tutti questi territori, era un giornale vero e lo dimostrano le decine di giornalisti e di poligrafici assunti, di dipendenti e lo dimostra il fatto che è stata anche una fucina di giornalismo dove sono cresciute decine di giornalisti che poi hanno travalicato i confini regionali e sono entrati in importanti testate nazionali e televisioni.

Giornalisti e poligrafici erano tra le persone che davano vita giorno per giorno a La Cronaca. Molti sono riusciti a trovare nuove opportunità anche dopo la chiusura, ma è stato così per tutti?
Il 21 dicembre 2010 c’è stata questa clamorosa indagine che è sfociata con l’arresto. A questo punto il giornale non era ancora morto. Il giornalisti hanno continuato a lavorare per più di un anno anche senza percepire stipendio, poche mensilità o poche parti di queste. Hanno continuato a lavorare nella speranza che fosse fatta alla svelta chiarezza e giustizia e che la presidenza del Consiglio dei ministri riprendesse ad erogare quei contributi limpidi e chiari che erano stati sospesi determinati dalla legge n. 250 del 1990. Cronaca accedeva ai contributi dal 1997, quindi aveva una storia lunga di legalità e di presentazione di domande: ogni anno la commissione si trovava a valutare la domanda. I vari sottosegretari che si sono succeduti hanno sempre vagliato scrupolosamente la domanda di accesso al contributo di Cronaca, la risposta è sempre stata favorevole ed ha permesso a Cronaca di continuare a vivere (grazie anche alle vendite ed alle pubblicità). Ricordiamo che oltre ai giornalisti, i poligrafici e agli impiegati, Cronaca aveva anche una decina di agenti pubblicitari ed aveva anche un centro stampa. In tutto c’erano circa 110 dipendenti e molti collaboratori vivevano grazie al reddito dato da Cronaca. All’improvviso a Cremona e Piacenza sono venuti meno questi posti di lavoro, che sono rimasti, però, sempre a carico dello Stato perché sono andati in cassa integrazione e molte persone sono tuttora in disoccupazione. Cronaca aveva tre segretarie di redazione e mi risulta che tutte e tre siano ancora senza un lavoro fisso. In questo momento, poi, non è certo facile. I giornalisti stessi, soprattutto a Piacenza sono ancora disoccupati, almeno molti di loro e cercano nuove attività. A Cremona, invece, qualcuno ha trovato posto andando a lavorare alla concorrenza, quella che era la concorrenza e altri presso una televisione locale legata a un imprenditore cremonese. Indubbiamente questa indagine ha provocato anche un onere per Stato non indifferente dal punto di vista degli ammortizzatori sociali, quelli che sono stati attivati e quelli che sono stati improntati per tamponare questa situazione che si era venuta a creare.
A seguito dell’indagine la la presidenza del Consiglio dei ministri che deve erogare i contributi li sospende in via cautelare, quindi Cronaca non percepisce più i contributi per l’editoria e questo di fatto fa morire il giornale che a conti fatti avrebbe dovuto vivere solo di pubblicità e di vendite. Purtroppo gli introiti di queste voci sono insufficienti a far vivere un giornale con queste caratteristiche, un quotidiano di provincie medio-piccole, non capoluoghi. Cronaca garantiva il pluralismo dell’informazione che è venuto meno con la chiusura perché in entrambe le province è rimasto un solo quotidiano.

Il territorio cosa perde dalla chiusura della Cronaca?
In qualsiasi territorio, non solo Cremona e Piacenza (o Parma, Reggio Emilia, Modena e Bologna), perdere una seconda voce è tremendo. Avere due voci democratiche in una provincia è molto importante. Una sola voce significa monopolio dell’informazione locale, un monopolio che viene gestito in favore dell’editore del giornale sopravvissuto. I due giornali locali che sono rimasti hanno una chiara connotazione politica e un chiaro orientamento sociale nell’orientare e nell’affrontare le tematiche di informazione di un territorio. E’ rimasta una sola campana, mentre prima Cronaca faceva da contraltare anche politico o culturale e di informazione a quella che era la voce del giornale principale. Cronaca rappresentava in queste due province una seconda voce pur senza avere la diffusione che aveva la concorrenza, ma ha sempre rappresentato un tavolo di discussione, un’alternativa, una voce diversa e secondo me la democrazia a livello locale ha avuto molto da guadagnare con Cronaca.

La vicenda si è conclusa con la piena assoluzione sua e delle altre persone coinvolte, il danno arrecato resta irreparabile?
Il tutto è finito il 24 settembre 2014 quando la Corte d’appello di Brescia che ha definito privo di qualsiasi fondamento i capi di accusa mossi dalla Guardi di Finanza e dalla Procura della Repubblica di Cremona. Molte delle cose che erano state attribuite a me sono cadute nel giro di poche settimane e già lo stesso gip aveva sgrossato moltissimo quest’indagine che sembrava enorme: quasi ogni cosa fatta in quel giornale era ritenuta oggetto di attenzione e di indagine. Tutte le cose alla fine sono state confutate, grazie anche al lavoro dei miei avvocati, ma alla fine è stata la stessa Procura generale della Corte d’Appello di Brescia a richiedere l’assoluzione ritenendo che non ci fosse stato nessun reato nella gestione dei quotidiani: in pratica la stessa accusa chiede l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non è stato commesso. Tuttavia ha cancellato di fatto tonnellate di carte, di indagini, di intercettazioni e di pedinamenti… Immagino quanti soldi sia costata questa indagine oltre al danno di democrazia e della perdita di due giornali. Quanti danni sarà costata allo Stato? Quanti danni a livello economico ed al pluralismo? Purtroppo Cronaca è finita così, ed io stesso ad oggi sono disoccupato. Purtroppo rimettersi a lavorare è difficile per chi ha vissuto quattro anni da indagato con delle accuse molto pesanti. Sono stato prima cassintegrato e poi disoccupato di Cronaca, uno dei 110 che sono stati immolati per questa indagine.

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