Il direttore generale, Lorenza Lei, ha studiato un piano di austerità per la tv pubblica. Una piccola finanziaria ad interim di 85 milioni che si aggiungono ai 70 del maggio scorso per chiudere in pareggio il 2011 e per affrontare le spese extra del 2012 come le Olimpiadi e gli Europei di calcio. Ci sarà una riduzione delle auto blu aziendali, l’eliminazione di inutili spese di rappresentanza e si cercherà di vendere parte del vasto patrimonio immobiliare della Rai: via i terreni improduttivi e poco utilizzati.
Ma attenzione, all’interno della “cura dimagrante” ci sono misure che fanno discutere in quanto riducono l’offerta informativa. I tagli alle redazioni estere, da 15 a 10, e la riduzione dei corrispondenti, da 26 a meno di 15, preoccupano l’Usigrai (che ha un altro motivo per continuare la protesta itinerante “Riprendiamoci la Rai”). Per il sindacato ridurre la presenza Rai all’estero significa venir meno all’obbligo di raccontare la realtà internazionale. Pare che non avremo più corrispondenti da città come Nairobi, Beirut, Mosca e Madrid. Inoltre, nelle sedi rimaste i giornalisti dovranno “arrangiarsi” appoggiandosi presso agenzie di informazione presenti in tutto il mondo. Gli inviati avranno un computer e una scrivania e non un intero alloggio a loro disposizione. Non finisce qui. Anche la rete all news, il nucleo dell’offerta informativa, potrebbe subire modifiche. Le testate di Rai News, Rai International e Televideo potrebbero fondersi in un’unica grande testata “modello BBC” con il supporto di un’agenzia di stampa che operi in tutto il mondo.
Intanto un’altra trasmissione simbolo della Rai cede il passo alla guerra degli ascolti. Dopo “90° Minuto” questa volta tocca a “Mi Manda Raitre”, la trasmissione che andava incontro ai problemi dei cittadini. E proprio in un discorso di risparmi e di efficienza, stridono ancor di più le cancellazioni “autolesioniste” di trasmissioni di successo che assicuravano notevoli guadagni.
E i dirigenti? Faranno anche loro sacrifici? Non è ancora chiaro, ma la Lei, che ora invoca austerità e risparmio, non dà il buon esempio. Il dg ha trovato il modo di aumentarsi lo stipendio, da 420 mila euro a 650 (ne aveva chiesti 730, per mettersi alla pari con il predecessore Masi, ma si è dovuta “accontentare” di un aumento di 130 mila euro). Intanto sia i dipendenti che alcuni produttori di fiction non sono stati pagati per lungo tempo per la mancata erogazione delle quote canone del Tesoro. Passando agli sprechi, l’elenco è davvero lungo: Vittorio Sgarbi, pagato per una trasmissione fermata sul nascere; lo studio di “Porta a Porta” costato mezzo milione (Bruno Vespa ha precisato di essersi “accontentato” per risparmiare); anche i 12 milioni spesi per solo quattro serate di Fiorello sembrano troppi per uno show comico. Poi c’è la lenta agonia del Tg1 che poco a poco sta perdendo la sua storica credibilità. Il Tg dell’ammiraglia farebbe perdere alla Rai almeno 150 milioni all’anno di mancata pubblicità.
Emblematica una lettera, pubblicata da Articolo 21, in cui un anonimo dirigente della Rai sottolinea le incongruenze aziendali: «Nell’ultimo anno, i soli direttori giornalistici si sono guadagnati aumenti di stipendio per quasi 800 mila euro. A tradurre grossolanamente, l’equivalente del salario di 120 operai, o di 100 impiegati o di 50 praticanti giornalisti. Esistono i direttorissimi ed i direttori semplici. Signore e signori con 2, persino 3 aumenti di merito in 12 mesi, a colpi di 30, 40, 50 mila euro a volta (…). Vertici che si contano sulle dita di una mano si sono spartiti 600, 650 mila euro di aumento, soldi in più sui già moltissimi che guadagnavano (…)», per rimediare il tutto, chiudendo «qualche piccola rubrica culturale regionale».
Ha senso smantellare un servizio pubblico fino a non renderlo più tale? Non esiste un modo per risanare la Rai senza distruggerla?
Egidio Negri