Il noto settimanale statunitense da ieri offre ai suoi lettori l’opportunità di tenersi informati gratuitamente anche in versione elettronica attraverso uno dei dispositivi iOS di Cupertino.
Oltre al Time sarà possibile sfogliare virtualmente anche i magazine Fortune e Sports Illustrated attraverso apps apposite rilasciate dalla Apple, in grado di riconoscere le credenziali degli abbonati e di fornir loro l’accesso ai contenuti senza dover pagare un extra. Questo perché la reale novità nell’accordo sulla distribuzione tra le due controparti risiederebbe proprio nell’opzione degli abbonamenti cartacei “tutto incluso” offerti dalla testata statunitense, che tendono a fare della app multimediale un servizio aggiuntivo rispetto a quello tradizionale. Un escamotage parziale che è valso (solo apparentemente) ad attenuare i vincoli imposti dalla società di Cupertino sul servizio di abbonamento lanciato su App Store. Al riguardo il Ceo dell’azienda Steve Jobs fu molto chiaro all’inizio di quest’anno: “La nostra filosofia è semplice. Quando Apple porta un nuovo abbonato ad un’applicazione, Apple guadagna il 30%. Quando un editore porta un utente esistente o un nuovo abbonato ad un’app, l’editore mantiene il 100% ed Apple non guadagna nulla”. L’impasse con gli editori (che, coinvolti dalla Rapsody, il sevizio musicale a sottoscrizione, hanno anche minacciato di avviare una causa antitrust contro la Apple, azienda che, secondo le recenti valutazioni di un analista mobile media per IHS Global Insight, Jack Kent, deterrebbe una percentuale dell’82% nel mercato delle app mobile con ricavi complessivi di quasi 2 miliardi) riguardava sia la richiesta da parte di Cupertino di una percentuale su ogni transazione per gli acquisti interni alla app store (anche su un’eventuale rinnovo dell’abbonamento via app) sia sulla modalità di gestione dei database degli utenti. Nel caso in cui gli abbonamenti venissero sottoscritti via iTunes, la Apple si è dichiarata infatti contraria a condividere le informazioni dei clienti con gli editori, privati una volta per tutte, della possibilità di ricavare un profilo dei propri lettori.
La Online Publisher Association, che rappresenta editori come lo stesso Time Inc. e Condè Nast, ha avanzato perplessità riguardo il modello imposto dalla Apple, per l’assenza di sufficienti garanzie di flessibilità. Ma con l’accesso gratuito alle app il settimanale Time chiede ora in cambio agli utenti abbonati di fornire il proprio nome, indirizzo e numero di carta di credito, attivando una doppia procedura di autenticazione nell’accesso al servizio. Ebbene sì, la risoluzione del conflitto tra la distribuzione digitale e l’editoria inaugurato a febbraio dalle condizioni di abbonamento imposte dalla Apple (che non voleva vedersi costretta a condividere le proprie informazioni) sembrerebbe ora delegato al povero utente. Questi si vedrà infatti costretto a cedere i propri dati a due diversi interlocutori, qualora intendesse fruire del suo settimanale preferito in versione digitale. Due database al prezzo di uno, per un servizio, dunque, solo apparentemente gratuito.
Manuela Avino