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Il silenzio assordante che rischia di uccidere il pluralismo dell’informazione. Se la barca affonda non sarà per certo colpa di internet e dei social network

Negli ultimi tempi sui social impazza una moda: esultare ed insultare i giornalisti per ogni giornale chiuso. Siamo alla frutta. Una nazione che aveva paura del suo passato ora sembra temere solo del suo futuro. Viviamo solo per pagare i debiti pregressi. Negli anni ’30, in piena dittatura eravamo il Paese delle grandi opere, negli anni ’60, nel pieno abuso edilizio ospitammo una grande Olimpiade, negli anni ’90 il Paese rideva e organizzava il mondiale di calcio. Dopo 30 anni abbiamo la popolazione più vecchia d’occidente, una classe dirigente scadente e una disoccupazione alle stelle. É l’Italia del Grande Fratello, degli Xfactor e dei Master Chef.  Un’Italia in cui  uno dei maggiori editori puó dire liberamente che si augura che ci siano giornali “morti”. Un paese nel quale la stampa è stata messa (giustamente o ingiustamente) alla gogna da politici e frequentatori di social. Facciamo un attimo un passo indietro..
Non moltissimi anni fa, nel recarmi all’università, acquistavo, strada facendo, una copia de “Il Manifesto”. Tra una chiacchiera, un corso da seguire e un esame da preparare, c’era sempre un momento di confronto politico. Con tutti. Si leggeva, si discuteva, ci si specchiava anche con chi aveva opinioni completamente contrastanti dalle nostre. Insomma si cresceva e ci si confrontava anche con chi “rosso” non lo era affatto. Erano altri tempi. Il muro di Berlino era appena caduto e l’Italia, politicamente, si apprestava ad entrare in un mondo e in un mercato completamente diverso rispetto a pochi anni prima. Non c’era internet ma c’erano tanti giornali. C’era l’Unità, L’Avanti, il Riformista, Liberazione e il Manifesto per citarne solo alcuni ma c’era tanto fervore intorno alle notizie e ai dibattiti che ognuno di essi portava avanti nel rispetto del proprio pensiero e del pluralismo dell’informazione. Oggi nel bel mezzo della globalizzazione e del mutato scenario politico tutto ciò non c’è più. Anzi, più si va avanti e più si assiste ad uno sgretolamento della cultura e dell’informazione. Oggi all’Università gli studenti sono “soltanto” incazzati per le incertezze sul futuro e sui costi da sostenere per “sperare” di poter trovare un lavoro. Non c’è più nessuno che arriva in Ateneo con “Il Manifesto” sotto il braccio. Raramente c’è confronto politico. C’è solo rabbia. Il silenzio assordante sulla chiusura dell’Unità, ma anche di “Europa”, ha di fatto sancito la fine dei giornali di sinistra. Ad oggi rimane solo il Manifesto, che, nonostante le numerosi crisi, riesce ancora (grazie agli sforzi di CHI CI LAVORA) ad uscire in edicola. Questo significa per moltissimi frequentatori di social che è giusto così, perchè il mercato deve premiare chi vende. Ma allora perchè insultare? Perchè vomitare sui giornalisti? Perchè augurargli il peggio? Ma che Italia è questa?
I giornali chiudono, la democrazia si impoverisce, il pluralismo va a farsi benedire e soprattutto i giornalisti si ritrovano da un giorno all’altro disoccupati. Ma perchè questi frequentatori di social non si mettono nei panni di chi ha perso il lavoro nei giornali e che non riescono più a sbarcare il lunario? Che bisogno c’è di insultare, di festeggiare???
A proposito, ha chiuso anche “La Padania”, molte altre testate a breve chiuderanno,  per non parlare dell’edicolante da cui compravo “Il Manifesto”, che ha già chiuso da un pezzo. L’Italia è cambiata. Stiamo diventando un Paese sempre più povero di idee e di confronti. Un Paese vigliacco dove fa più comodo leggere dei selfie di Belen, dell’Isola dei Famosi e di cucina. Questo, cari frequentatori di social, non è dibattito. E’ spazzatura!!

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