Caso Gedi, dopo il “siamo tutti in vendita” e le voci, sempre più insistenti, legate alla possibilità di cessione delle maggiori testate del gruppo, le associazioni territoriali dei giornalisti alzano la voce. Da Roma, dalla Lombardia e dal Piemonte giungono critiche e appelli affinché la situazione torni nei binari della normalità. E cioè i giornalisti vengano messi nelle condizioni di poter fare il loro lavoro senza temere scossoni né ridimensionamenti.
Una lunga nota è apparsa sui social, firmata dall’Associazione lombarda dei giornalisti, dall’Associazione Stampa Romana e dall’Associazione Stampa Subalpina. Le parole sono importanti e la situazione viene descritta così: “Nell’editoria italiana, per anni considerata un utile fiore all’occhiello di grandi famiglie e cordate il cui core business era altrove, è arrivata l’era delle dismissioni: irrispettose della storia dei giornali, del valore dell’informazione e pure, ovviamente, dei posti di lavoro dei colleghi”.
È un trend, ormai. Non più caso isolato o sporadico. I grandi editori, lentamente ma inesorabilmente, si stanno sfilando: “La Mondadori ha già svenduto il patrimonio dei suoi media e moltissime case editrici di periodici stanno seguendo lo stesso esempio. Ma ora viene pesantemente investito anche il mondo dei quotidiani con il gruppo Gedi che fa capo alla famiglia Elkann: secondo quanto è stato comunicato ai Comitato di redazione del gruppo dall’amministratore delegato, Maurizio Scanavino, tutte le testate o gruppi di esse sono in vendita, non escluse Repubblica e la Stampa, i due giornali più diffusi”.
Per l’Associazione Lombarda Giornalisti, l’Associazione Stampa Romana e l’Associazione Stampa Subalpina ora è il tempo dell’impegno “a mettere in atto quanto in loro potere per difendere le testate Gedi presenti sul loro territorio”.
In particolare, raccontano le associazioni: “In Lombardia sono un centinaio i colleghi contrattualizzati che vivono sulla loro pelle questa incertezza: le due redazioni dei quotidiani locali de La Provincia Pavese e della Gazzetta di Mantova (per inciso, il giornale più antico d’Italia e del mondo), le redazioni di Milano dei quotidiani la Repubblica e la Stampa e della rivista D di Repubblica; in Piemonte sono coinvolti circa 180 i giornalisti de La Stampa, cui si aggiungono la redazione torinese di Repubblica e 8 colleghi de La sentinella del Canavese, mentre a Roma c’è la sede del principale quotidiano Gedi, la Repubblica, che conta in tutto, comprese le sedi periferiche, più di 300 giornalisti contrattualizzati. A tutti questi colleghi vanno aggiunte le centinaia di collaboratori che da anni contribuiscono col loro qualificato lavoro alle testate del gruppo e che sono anche loro a rischio”.
Dunque arriva una richiesta di incontro “urgente” fatta recapitare “alle istituzioni politiche, anche locali”. Ciò perché, spiegano le associazioni “uno dei gruppi editoriali più importanti del panorama nazionale non può trincerarsi dietro la riservatezza per un’operazione finanziaria senza chiarire le proprie reali intenzioni. In gioco non ci sono solo i posti di lavoro di decine e decine di colleghi, ma anche la difesa dell’informazione, messa a rischio dallo smantellamento di un gruppo così importante per il numero, la qualità e la diffusione territoriale delle sue testate”.
E dunque: “Riteniamo, inoltre, che sia necessaria una risposta compatta e unitaria di tutti i Cdr e di tutto il sindacato, nazionale e territoriale, per salvare un bene che consideriamo non divisibile e che non può essere frammentato”. Infine la promessa: “Come Associazioni territoriali siamo, quindi, pronte a sostenere qualsiasi iniziativa che i colleghi del gruppo Gedi vorranno intraprendere in questa delicata fase che rischia di mettere a repentaglio il loro futuro professionale e quello economico delle loro famiglie, nonché il diritto all’informazione dei territori di riferimento in cui insistono le testate oggetto della vendita”.
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