Il quadro normativo mediante cui l’Agcom ha legittimato il proprio intervento di rimozione selettiva dei contenuti protetti da copyright dai servizi online che li ospitino illegalmente (portali privati e pubblici, blog e piattaforme di file sharing) farebbe riferimento a tre leggi distinte. In primis l’art. 182bis della Legge sul Diritto d’Autore (Legge del 22 Aprile 1941 n. 633) che al comma I, in verità, già delegava all’Autorità la vigilanza su attività specifiche al fine di prevenire ed accertare violazioni delle prescrizioni individuate dalla disciplina normativa in oggetto. Un’azione che l’Agcom svolgerebbe già in coordinamento con la Società Italiana degli autori ed editori (SIAE), dopo l’accordo sottoscritto il 6 luglio 2001 ed integrato nel maggio 2007 da una nuova convenzione. Eppure, dice l’esperto sul Computer Law Marco Scialdone, nel testo della disposizione normativa non sarebbe fatta alcuna menzione sulla legittimità di intervento dell’Autorità sulle reti di comunicazione elettronica. Anzi, il successivo art. 182ter attribuirebbe all’Agcom la sola funzione di controllo ed in caso di violazione del diritto d’autore, l’onere di compilare un processo verbale da trasmettere agli organi di polizia giudiziaria chiamati ad intervenire. Il fatto di prevedere una forma di intervento alternativa da parte dell’Agcom ( mediante una processo amministrativo sommario da sbrigare in 5 giorni di contraddittorio formale con le parti in causa) non avrebbe cioè alcuna ragione di esistere. Questo proprio perché, sul piano giuridico, il decreto Urbani (L.43/2005) già aveva introdotto la responsabilità penale di chi carica contenuti sulla rete senza averne l’autorizzazione del titolare della proprietà intellettuale (punto a-bis dell’art. 171 comma I della legge sul copyright). L’Agcom interverrebbe dunque in quella che, per legge, rappresenta la giurisdizione esclusiva del giudice penale chiamato a valutare singolarmente le condotte dei privati, presunte di commettere un illecito.
Come ulteriore riferimento normativo, nel punto 2.2 della delibera, è citato poi il decreto legislativo n.70/2003 che ha recepito nell’ordinamento italiano la Direttiva n. 31/2000/CE sul commercio elettronico, fonte che individua i contenuti ed i limiti delle responsabilità in capo agli Isp ( gli Internet Service Provider). Gli artt. 14 (comma 3), 15 (comma 2) e 16 (comma 3 ) sanciscono in particolare che l’autorità “amministrativa avente funzioni di vigilanza”, al pari di quella giudiziaria, possa esigere che il prestatore di servizi “impedisca o ponga fine alle violazioni commesse” mediante i relativi servizi offerti (accesso a internet, caching ed hosting di contenuti digitali). Una competenza che l’Agcom, sempre secondo Scialdone, in parte si auto conferirebbe in virtù di quello stesso art. 182bis, che però manca di fare un esplicito riferimento alle reti di comunicazione elettronica.
Manuela Avino
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