Crisi dell’editoria, il sistema della classe politica, il futuro del giornalismo online e le anomalie del sistema editoriale italiano. Ha parlato a 360 gradi lo storico presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, Franco Abruzzo, in un’intervista concessa a Christian Flammia per il portale Lombardi nel mondo. Franco Abruzzo, alla guida dell’ordine professionale dal 15 maggio 1989 al 7 giugno 2007, oggi è rimasto consigliere, riveste un ruolo nell’Associazione lombarda dei Giornalisti ed è tra “i 5.062 italiani notevoli” secondo Giorgio dell’Arti e Massimo Parrini, autori del “Catalogo dei viventi” nel 2006 edito da Marsilio.
Bisogna sfatare i miti. Oggi nel mondo i lettori dei giornali sono più numerosi di quelli che si informano tramite il web. I giornali si continueranno lo stesso a leggere anche in tempi in cui internet sembra avere alla lunga la meglio. Il futuro del giornalismo non è solo internet. La penso esattamente come Montanelli: la carta stampata dopo aver resistito alla nascita della radio e della televisione, resisterà anche al web, diventando, però, nel tempo, una carta stampata di nicchia. Gli uomini colti leggeranno sempre sia i libri sia i giornali.
Può esporre la sua opinione in merito alle problematiche riguardanti il controllo delle fonti e quelle riferite alla privacy nel mondo dell’informazione?
Le fonti devono essere tante e libere. Il problema è la pubblica amministrazione che si trincera dietro una selva di divieti. Oggi l’accesso è impedito ai giornalisti, perché gli stessi non avrebbero un interesse diretto a conoscere e a fare le copie degli atti. E’ un errore: i giornalisti sono gli intermediari tra i fatti e la gente. Oggi, dopo una stagione mostruosa di scandali, capiamo meglio perché i cronisti sono trattati come degli appestati. I politici temono che i cronisti scoprano intrallazzi e atti corruttivi. E così fanno di tutto per tenerli lontani dai palazzi del potere. Per quanto riguarda la privacy, i giornalisti conoscono bene i limiti del diritto di cronaca e di critica: il rispetto della dignità delle persone e della verità sostanziale dei fatti. I fatti diffamatori si possono pubblicare a patto che gli stessi siano veri. Il discrimine è la verità.
A Dubai è stato recentemente raggiunto un accordo messo a punto dalla Conferenza mondiale organizzata nell’emirato arabo dall’International Telecommunication Union (Itu) sul trattato che rinnova il regolamento internazionale Onu su Internet e le telecomunicazioni che se verrà ratificato entrerà in vigore nel 2015. Oggetto dei lavori le International Telecommunication Regulations (ITRs) che risalgono al 1988 e che per la prima volta sono state oggetto di rinegoziazione. Il nuovo trattato globale, definito dai vertici del summit come un grande successo ed un’opportunità storica per portare connettività ai due terzi della popolazione mondiale che ancora è offline, pone le basi per un mondo ”iper-connesso” e comprende alcune misure per dare ai Paesi il diritto di accesso ai servizi di telecomunicazione internazionali. Sui 193 Paesi riuniti 89 hanno firmato il trattato, gli Stati Uniti, l’Italia e quasi tutti i membri dell’Unione europea hanno negato il proprio assenso, mantenendo la facoltà di approvarlo in seguito. I Paesi che non firmeranno il trattato continueranno ad essere vincolati alle vecchie regole. Qual è il suo parere in merito alla questione? Ritiene questo Trattato un punto di arrivo oppure la strada per giungere ad un mondo dell’informazione più moderno è ancora lunga?
Il problema non è il flusso delle notizie, ma è la sicurezza degli Stati dagli attacchi terroristici che viaggiano anche attraverso la banda larga. Gli Stati Uniti oggi controllano internet. Perché dovrebbero cedere questo potere? C’è bisogno di un accordo tra le grandi potenze, che limiti il crimine e le attività eversive internazionali. Il web è una infrastruttura che può essere usata per provocare danni a terzi: si pensi agli attacchi con virus ai siti nucleari iraniani. Chi vivrà vedrà. Chi controlla internet oggi controlla il mondo e gli spazi interplanetari. Portare la connettività ai due terzi della popolazione mondiale è un bel traguardo. Da raggiungere nella sicurezza di tutti i 193 attori mondiali presenti in sede Onu”.
Giornalismo topLa rivoluzione di Internet ha facilitato in modo significativo l’accesso da parte della collettività ad una mole rilevante di notizie e la diffusione delle stesse in tempo pressoché reale da parte dei media. Considerando la divulgazione delle notizie favorita da internet e la velocità di accesso alle stesse agevolata dalle nuove tecnologie, ritiene che queste possano aver penalizzato la qualità dell’informazione in termini di contenuti oppure non ci sono state variazioni di qualità rispetto al passato?
La quantità si suol dire che non sia sinonimo di qualità. Formare giornalisti globali, padroni di 2-3 lingue, era un obiettivo del vecchio Ifg Istituto “Carlo De Martino” per la Formazione al Giornalismo. Non ci siamo riusciti, perché la crisi ha travolto l’Ifg. Era il 2008/09. La rete oggi è una immensa biblioteca, un incommensurabile archivio. Un altro nostro obiettivo era quello di formare giornalisti cacciatori di notizie in internet: servono persone di grande preparazione multidisciplinare. Voglio dire che nella rete trovi di tutto, l’eccellenza e la fuffa. Dipende da coloro che hanno immesso dati, commenti e notizie. Ai lettori raccomando prudenza e capacità incrociate di verifica. Si torna sempre sul chiodo fisso: controllare quello che si legge, non accontentarsi, esser curiosi. La buona informazione viaggia sempre con la cattiva informazione.
Le anomalie del sistema editoriale italiano. C’è solo il conflitto di interessi di Berlusconi? E le banche? e il Parlamento? E gli inserzionisti pubblicitari?
La prima anomalia italiana (a livello internazionale per quanto riguarda il mondo occidentale) è data dal Parlamento, che possiede tre reti tv e tre reti radiofoniche, e dagli editori di giornali e tv, che hanno interessi in altri campi (banche, auto, cemento, assicurazioni, costruzioni, sanità, edilizia, cinema e politica, etc). Dentro il Parlamento esistono le maggioranze politiche. Devono essere sciolti i nodi dei conflitti di interesse, che non riguardano, però, soltanto Silvio Berlusconi, ma anche le banche. La seconda anomalia italiana, collegata alla prima, è, come detto, determinata dalla presenza nella vita politica del proprietario di Mediaset. Le vicende degli ultimi anni dimostrano che la situazione crea risvolti inquietanti e che, fatto incredibile, trova un puntello nei programmi politici “militanti” della Rai. Rai e Mediaset si giustificano a vicenda, mentre il duopolio è stato rotto da Sky (gruppo internazionale con enormi addentellati in più continenti).
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La partita è a tre o a quattro comprimari (se si considera La7), mentre i network regionali hanno un loro pubblico. A questo quadro va aggiunto un altro tassello prioritario: anche i grandi investitori pubblicitari condizionano i giornali e le tv: gli Stati Uniti insegnano qualcosa al riguardo. La presenza delle banche nel capitale delle imprese editoriali è una minaccia reale all’autonomia dei mass media. Se si passerà a un sostanziale regime liberalizzato, il ruolo delle banche nell’editoria rischia di diventare ancor più invasivo soprattutto in caso di crisi delle imprese, quando le banche prendono in mano le redini delle aziende in difficoltà. Un primo passo potrebbe esser quello di recepire in una nuova legge di riforma dell’editoria alcuni princìpi elaborati dalla dottrina e in sede sindacale. La nuova legge dovrebbe affermare l’indipendenza delle pubblicazioni e dei giornalisti dal potere politico; l’indipendenza delle pubblicazioni e dei giornalisti da ogni gruppo di pressione; la separazione dell’informazione – larga e indipendente – dal commento. Una delle regole più importanti deve riguardare il direttore. L’editore non può legittimamente nominare un direttore se non sono stati prima consultati i giornalisti.
Si tratta di un parere, quindi, preventivo e obbligatorio ancorché non vincolante. Contenere le anomalie editoriali italiane e l’influenza delle proprietà sui giornali deve figurare negli impegni del nuovo Parlamento, stante il valore fondamentale del giornalismo, che non sopporta censure o autorizzazioni, e il diritto dei cittadini a una informazione onesta e completa. La scommessa è il giornalismo indipendente: può ritrovare cittadinanza in Italia? L’alternativa pessima è il giornalismo schierato con i poteri della politica e dell’economia. In sostanza la libertà di informazione non è una variabile dipendente del mercato, ma è un principio e un diritto fondamentale della Costituzione repubblicana, che va sopraordinata alla proprietà dei giornali”.
La Fnsi ha avanzato recentemente una forte richiesta per un intervento articolato dello Stato a sostegno dell’editoria e dell’occupazione dei giornalisti. E’ possibile in tempi di crisi?
La crisi dell’editoria quotidiana, delle radio e delle tv è sotto gli occhi di tutti: si chiama calo degli introiti pubblicitari. Per la carta stampata la crisi nasce anche nelle edicole abbandonate e non frequentate dai cittadini. Soltanto le entrate pubblicitarie del web crescono a due cifre. L’unico paragone (negativo) è quello con i primi anni ’70. Allora c’era il problema del passaggio dal caldo al freddo: dalle linotype ai computer. La crisi della carta fu vinta grazie alle sovvenzioni dell’Ente cellulosa favorite dalla legge 172/1975: lo Stato assicurò uno sconto di 30 lire al kg, investendo 34 miliardi di lire in due anni. I prezzi della carta erano saliti per colpa… dei cinesi e degli indiani, che cominciavano a usarla nei bagni.
Con la legge 416/1981, lo Stato spese mille miliardi di lire in 10 anni per incoraggiare la trasformazione dei mezzi di produzione dei giornali. Lo Stato trattò l’editoria come un grande settore industriale in crisi sul presupposto che in un regime democratico la stampa è il simbolo vivente della libertà. Oggi Parlamento e Governo dovrebbero avere la stessa lungimiranza di allora. La crisi dell’editoria comporta di riflesso la crisi dell’occupazione dei giornalisti. I 20 milioni all’anno assicurati dal 2009 in poi dal Governo Berlusconi per fronteggiare i prepensionamenti non bastano. Ci vuole altro e di più consistente. Soprattutto servono scelte economiche operative efficaci e tempestive. Va incoraggiata ad esempio la lettura dei giornali nelle scuole e nelle università”.