La nomina del nuovo presidente della commissione di Vigilanza sulla Rai (ma ha un senso che esista ancora?) è diventata una commedia. I deputati e i senatori del centro-destra fanno mancare il numero legale sistematicamente. Il presidente della Vigilanza, per prassi e per legge, non c’entra nulla con il vertice Rai, per il quale la Gasparri impone un’intesa sul nome del presidente. Tant’è, si va avanti così.I partiti si dilettano a pensare che le sorti della comunicazione e della politica-spettacolo dipendano dai vertici Rai e dai direttori dei Tg Rai. Sono spesso disattenti a come cambia il mercato e a quanto accade nel settore privato. I licenziamenti a La 7 non vanno letti solo in chiave sindacale ma anche come un probabile e progressivo ridimensionamento delle attività di Telecom Italia sulle frequenze terrestri. Ormai siamo vicini ad una struttura oligopolistica del sistema televisivo non consente a nuovi soggetti di far concorrenza al duopolio sulle frequenze terrestri e a Sky su quelle satellitari. Ad oggi la situazione è alquanto imballata. Tutto tace sul fronte delle frequenze, in attesa di capire cosa succederà a fine ottobre in Sardegna. Non sono state rese pubbliche le risposte del governo italiano alla commissione Ue sulla situazione dell’etere nazionale (è un affare privato?). Non se il Consiglio di Stato abbia dato il suo parere alle Comunicazioni sull’attuazione della sentenza della Corte di giustizia europea. Il pluralismo latita. Ma non solo per quanto riguarda la radiotelevisione. La carta stampata non se la passa mica meglio. (M. Mele blog)
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