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IL PROBLEMA NON È IL TETTO AGLI SPOT DI SKY MA LE MISURE NON ASIMMETRICHE (MARCO MELE)

Il tetto su Sky, alla fine, c’è ma diluito in tre anni prima di andare a regime. Ogni anno la pubblicità per i canali di Sky si abbasserà di un 2% orari: nel 2010 gli spot non potranno essere più del 16% l’ora, poi il 14% nel 2011, infine dal 2012 entrerà a regime il tetto definitivo del 12%: è, non a caso, proprio l’anno in cui decadranno i limiti imposti a Sky dopo la fusione Stream-Tele+: dal primo gennaio 2012 potrà, ad esempio, offrire pay tv sulle frequenze terrestri e acquistare diritti per tutte le piattaforme. Prevista nel decreto anche una dichiarazione d’inizio attività per i siti, da You Tube a Rai.tv che offrono prevalentemente contenuti audiovisivi.
Il “tetto” graduale per la pay tv è stato inserito nel decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri per recepire la Direttiva comunitaria sui nuovi media e i nuovi servizi audiovisivi.
Impopolare é il contesto televisivo italiano, che penalizza sia gli utenti sia i produttori di cultura e d’innovazione, sia gli editori indipendenti di canali tematici. Chi ha in mano la rete di trasmissione ed è anche editore, infatti, può ammortizzare i minori introiti pubblicitari cedendo capacità trasmissiva o aumentandone il prezzo o riducendo la produzione di programmi all’esterno. Chi, invece, già paga per avere tale capacità dagli operatori di rete – come Rai, Mediaset e Telecom Italia Media – sta sul mercato solo con la pubblicità o, per i canali su Sky, con un fee versato dalla piattaforma satellitare.
Il tetto rischia di favorire i più forti. Come spesso accade per le misure uguali per tutti, non asimmetriche, ovvero non più stringenti per i soggetti più forti, quelli in posizione dominante e meno stringenti per quelli di cui si vuole favorire la competitività. Il risultato è quello che ha illustrato oggi al Summit della Comunicazione, a Roma, Giorgio Gori, amministratore delegato di Magnolia: in Italia c’è meno innovazione, meno creatività, meno qualità rispetto ad altri sistemi tv europei, anch’essi in transizione verso il digitale ma con un altro assetto, teso a far aumentare la concorrenza e, di conseguenza, il pluralismo. Da noi si va in direzione opposta.

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