Tutti con Napolitano, ma il Pdl ne approfitta per tentare di incassare la legge sulle intercettazioni, grande incompiuta della legislatura. Subito l’anomala maggioranza che sostiene Monti si divide, come sempre avviene sulla giustizia. Alfano definisce “indecorose e indegne” le telefonate che “sfiorano” il Quirinale, ma attacca Casini e le sue “lacrime di coccodrillo” perché non ha sostenuto a sufficienza il vecchio ddl sugli ascolti, fonte di grande contrasto – bisogna ricordarlo – proprio tra Berlusconi e il Quirinale perché il bavaglio disegnato dall’ex guardasigilli Alfano avrebbe colpito a morte sia la possibilità di fare indagini che il lavoro della stampa. Ma oggi torna l’emergenza sulle conversazioni registrate, Napolitano ipotizza una riforma bipartisan, ma l’intesa appare già impossibile.
Non sarà la prossima settimana quella giusta per aprire il libro della legge sulle intercettazioni. Domani il ministro della Giustizia Paola Severino vola a Washington e ci resterà per cinque giorni. Sulle intercettazioni ha già impartito ordini precisi al suo staff in via Arenula che ruotano su due verifiche decisive per poter andare avanti. La prima: un monitoraggio sui processi più famosi in corso per capire in quale momento sono state diffuse le telefonate registrate e se questo è in regola con l’attuale legge oppure già la viola e che spazi di manovra si aprono per quella futura. L’idea di Severino è che già adesso le anomalie ci sono. La seconda verifica riguarda il vecchio ddl Alfano, oggi in stand by in aula a Montecitorio, e quanto di quel testo può effettivamente essere ancora cambiato dopo il doppio voto di Camera (11 giugno 2009) e Senato (10 giugno 2010) tra le proteste del popolo viola e la battaglia dei post-it di Repubblica. Le regole parlano chiaro, nessuna parte che abbia ricevuto una “doppia lettura conforme” può essere modificata. Potrebbe nascere qui la grossa sorpresa: Severino, garantiscono nel suo entourage, proprio per superare intoppi procedurali, starebbe pensando anche a un suo testo ex novo, un ddl Severino, che pigli solo il buono del vecchio testo. Comunque faccia, Antonio Di Pietro già si mette di traverso e boccia un eventuale progetto che imbavagli la stampa dandole la possibilità di pubblicare gli ascolti “a fine inchiesta quando magari la gente condannata è stata pure candidata”.
Un fatto è certo, perfino sul metodo per affrontare di nuovo la scottante pratica delle intercettazioni la divisione è profonda. Tant’è che la Pd Donatella Ferranti mette subito una zeppa sull’ipotesi di ripescare i testo Alfano. Chiede che, dall’aula, quell’articolato “torni in commissione” perché così com’è non “all’altezza”. La pidiellina Santelli la brutalizza, la chiama ex pm e sostiene che il Pd “vuole solo mantenere il far west attuale”.
La partita si complica prima ancora che l’arbitro dia il fischio di avvio. E il peso delle divisioni emerge con nettezza pur nelle ore in cui Pdl e Pd stanno dalla stessa parte nel sostenere Napolitano. Ecco Bersani dire che bisogna “evitare manovre sul Quirinale, oggi presidio della democrazia”. Espressioni condivise dal presidente del Senato Schifani per il quale “attaccare Napolitano è attaccare Italia” e dal segretario del Pdl Alfano che subito se la prende con Casini e lo sfida “a promuovere una legge”.
Il leader centrista sta col Colle e vede in azione “schegge della magistratura con obiettivi intimidatori”, ma sulle intercettazioni replica ad Alfano che le leggi fatte da Berlusconi sulla giustizia “erano finalizzate solo ai suoi processi”. In compenso si trova d’accordo con il capogruppo Pdl alla Camera Cicchitto che vede in atto “un’indecente operazione di intossicazione e di depistaggio” e che se la prende con il procuratore aggiunto di Palermo Ingroia, uno dei suoi obiettivi preferiti. Sarà proprio Cicchitto, già in settimana, a chiedere che l’aula affronti subito il nodo delle intercettazioni andando al voto. E qui lo scontro col Pd sarà inevitabile.
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