C’è un paradosso, nella vicenda dell’inchiesta aperta dalla Consob su Giovanni Pons e Vittoria Puledda, due colleghi (molto bravi) di Repubblica, che hanno seguito le vicende del salvataggio della Fonsai da parte dell’Unipol. Il paradosso è che la Consob, certo estremamente sollecita della massima trasparenza informativa sui mercati e della massima simmetria informativa, attaccando con una richiesta senza precedenti rivolta (e accolta) alla Procura di milano sul conto dei due cronisti – visionare cioè i loro tabulati telefonici – finisce per perseguire l’effetto opposto: sanzionare, cioè, o – almeno per ora – perseguire chi ha avuto al contrario il merito di far diventare pubbliche notizie finanziarie importanti che forse, diversamente, sarebbero restate ignote o sarebbero emerse solo molto più tardi. E’ questo che vuole la Consob? Certo che no. E allora perché si comporta così? Ribadito, a scanso di querele, che la buona fede e l’impegno della Commissione e di chi la guida sono indubitabili, a esercitare il diritto di critica (articolo 21 della Costituzione) si ha ragione, appunto, il diritto di dire che, semplicemente, la causa di un comportamento così contraddittorio può risiedere nell’incompetenza. Incompetenza in fatto di comunicazione e delle sue dinamiche reali in ambito societario e finanziario.
Cosa accade, quotidianamente, e nella realtà delle società quotate? Accade una cosa ovvia, che la Consob “non può non sapere”: che cioè la sede dove si prendono le decisioni vere tende sempre ad essere diversa da quella dove tali decisioni, già prese, vengono formalizzate. Ebbene, per gli attuali regolamenti, il momento in cui le decisioni di una società possono essere comunicate (anzi: debbono esserlo!) è quello della loro formalizzazione, non è quello in cui vengono prese. Ne consegue che il comunicato stampa di una società quotate segue sempre di parecchio tempo il momento in cui una decisione è sostanzialmente presa tra coloro che possono: il management, gli azionisti di riferimento, a volte qualche consigliere d’amministrazione più importante o impiccione degli altri, i quali invece di solito vanno a timbrare, pensando ai fatti loro, le altrui decisioni, ed a ritirare il gettone. Questa è la prassi prevalente, piaccia o no. E’ quindi tanto più doveroso, da parte dei giornalisti, andare in cerca di quelle indiscrezioni che trapelano nella “terra di nessuno” (anzi: nel “tempo di nessuno”) che intercorre tra l’assunzione di una decisione e la sua formalizzazione; anzi, ancor più a monte, cercare e pubblicare le indiscrezioni sui problemi quando essi insorgono e non quando essi vengono affrontati e gestiti con quelle decisioni “reali” che precedono sempre di molto la loro comunicazione ufficiale.
Nello svolgere questo preciso compito professionale, i giornalisti sanno di correre un rischio: essere abbindolati e portati fuori pista da fonti ufficiose tendenziose o interessate, propalando così informazioni errate o parziali; insomma, rischiano di essere strumentalizzati, di rendersi “cieco strumento di occulta rapina”, e non sono mancati casi, nella storia del giornalismo, di professionisti che si sono consapevolmente prestati a manipolazioni informative, che hanno avuto spesso anche effetti distorsivi sulla Borsa, il famoso aggiotaggio. Ma questo può capitare quando le informazioni, diffuse in mala fede, non sono vere, non quando invece si dimostrano sostanzialmente vere, immediatamente o dopo un po’ di tempo poco importa: che è appunto il caso di Pons e Puledda. Grazie ai loro articoli, determinate necessarie rettifiche nei conti di Unipol sono state quanto meno rese note prima di quanto sarebbe accaduto con le normali modalità, dando tempo di maturare alle ratifiche e alle comunicazioni ufficiali; e c’è da assumere che sarebbero state prese comunque (anche senza fughe di notizie) solo per doverosa presunzione di serietà da parte dei soggetti interessati…
Semmai, dunque, i giornalisti meriterebbero un encomio, per aver fatto bene il loro lavoro, e non meritavano certo di finire oggetto di un’inchiesta che oltretutto, ficcando il naso nei loro dialoghi telefonici, rischia di evidenziare l’identità delle loro fonti fiduciarie, che la legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti, la numero ‘69 del ’63, tutela con il diritto all’anonimato, superabile secondo una vecchia interpretazione solo dal pm in sede di istruttorie specifiche e non di indagini preliminari, ed ormai neanche più dal pm, grazie a una recente sentenza della Corte di Strasburgo. Dunque, quest’ “inchiesta contro i giornalisti inchiestisti” – che, per carità, sarà suffragata da argomentazioni giuridiche complesse e ponderate – è tuttavia nel merito politico e civile una brutta scelta della Consob e una deplorevole decisione della Procura, a fronte di un beneficio e non certo di un danno comportato al mercato finanziario e al valore della trasparenza informativa.
Ancora un’annotazione. L’articolo dell’11 dicembre 2012 che anticipava quelle informazioni e che ha indotto la Consob ad aprire l’inchiesta e a chiedere alla Procura di acquisire i tabulati telefonici, conteneva non una critica ma una domanda indirizzata alla Consob, interessante oggi da richiamare. Era questa: “Come mai Consob si attiva solo ora e non si è mossa quando il pm di Milano Luigi Orsi lo scorso 4 luglio inviò una lettera agli uffici guidati da Giuseppe Vegas chiedendo ‘se Consob avesse riscontrato i dati su Unipol evocati dal progetto Plinio che circola in rete e se questi possano interferire con la trasparente formulazione dei prospetti’? Se lo avesse fatto per tempo forse la fusione Unipol-Fonsai sarebbe stata messa in discussione o forse la trattativa sarebbe stata diversa da un salvataggio della prima sulla seconda. Vegas preferì tergiversare, facendo inserire nel prospetto ‘che sul presente argomento sono in corso approfondimenti anche in ordine alla regolarità contabile dei dati comunicati dall’Emittente’, togliendo il delicato tema dall’occhio attento dell’ufficio Analisi quantitative”. Questo “Progetto Plinio”, uno studio realizzato dalla società di revisione Ernst&Young su mandato della Fonsai all’epoca ancora in balìa della disastrosa gestione dei Ligresti, evidenziava valori sul patrimonio netto rettificato di Unipol di fine 2011 molto inferiori (302 milioni) molto inferiori da quelli scritti a bilancio come patrimonio contabile (1,1 miliardi di euro). Insomma, l’articolo poneva una domanda potenzialmente critica sull’operato della Consob. Che ha replicato come si è visto. Ogni ulteriore commento è superfluo.
di Sergio Luciano
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