Alla convention repubblicana che nominerà Trump candidato per il partito repubblicano i giornalisti dovranno accomodarsi fuori. Il Presidente americano notoriamente spavaldo nei confronti del CoVid19 si è improvvisamente rivelato timoroso e prudente: al punto di assumere una decisione che passerà alla storia. Ma andando oltre il fatto, il problema sono i fatti. Ed è a livello mondiale che la politica, o meglio un certo tipo di politica oggi dominante, ha deciso che i giornalisti ed i giornali sono interlocutori poco graditi, scomodi.
Trump, Johnson, Bolsonaro, Putin ed Erdogan, leader di Paesi importanti, da anni hanno adottato un modello di comunicazione politica univoca, basato sulla delegittimazione dei media. Scelgono se ammettere i giornalisti, e se li ammettono di quali testate, con criteri del tutto arbitrari. Lee Cain, il consulente della comunicazione di Johnson ha candidamente detto che loro informano chi vogliono, ogni volta che vogliono. Usano il modello dei social network, rimuovono, bannano, censurano, tanto quello che devono dire lo dicono con un post, con un tweet, a condizione che non vengano, a loro volta, bannati.
Ma anche in Italia l’atteggiamento non è diverso, le lunghe dirette facebook in cui l’istrionico De Luca minaccia lanciafiamme e pene fisiche gli consentono di sottrarsi alle domande dei giornalisti: e di non rispondere sulle condizioni effettive della Sanità in Campania per il governatore di una Regione in cui la Sanità è collassata non è da poco.
E analogamente Gallera, croce e croce dei cittadini lombardi, prima della conferenza stampa della protezione civile, durante il lock-down, recitava il lungo rosario di morti nella sua Regione con il tono di un venditore di pentole, tanto nessuna domanda avrebbe potuto interrompere la sua litania.
E che dire poi del premier Conte, le cui conferenze stampa venivano annunciate tipo flash-mob, con un unico protagonista, nessuna domanda, quelle avrebbero richiesto risposte, a Casalino piace giocare facile, modello Bolsonaro, modello Trump, modello Johnson.
La Cina ha contagiato la politica mondiale e non è stato un virus, ma la comodità di governare senza rispondere di quello che si fa.