Ha cominciato il New York Times, ora gli editori scendono in guerra contro l’intelligenza artificiale. Il quotidiano liberal Usa ha “chiuso” a ChatGpt. Che non potrà utilizzare i contenuti del New York Times per addestrare la sua intelligenza artificiale. La vicenda è squisitamente economica: non c’è accordo e, in mancanza di questo, nessuno, dalle parti del giornale newyorkese per eccellenza vuol cedere di un centimetro. E pertanto ha chiuso le porte in faccia ai programmi di web crawling utilizzati da OpenAi per recuperare informazioni da inserire nella “memoria” della sua Ai.
I programmi, che scartabellano milioni di siti senza chiedere permesso, contribuiscono a una raccolta dati gigantesca, un magazzino globale di informazioni a cui accedere senza pagare dazio a chi, quelle stesse informazioni, le ha immesse in rete. Insomma, è la “solita” questione che ormai da anni divide gli Over the top del web e gli editori. Con i primi, a cominciare da Google, che rilanciano i contenuti dei giornali e, spesso e volentieri, selezionano i contenuti da offrire alla ricerca e agli utenti (comportandosi, così, come fa un vero editore) e i secondi che si sentono defraudati dagli introiti pubblicitari e dell’uso dei loro stessi link e materiali.
Dagli Stati Uniti corre una voce: il Nyt potrebbe portare ChatGpt in tribunale. Col rischio di far pagare a OpenAi un’ammenda salatissima: da 150mila dollari per ogni articolo consultato senza permesso e i cui contenuti sono stati rilanciati o utilizzati per addestrare gli algoritmi senza che i legittimi proprietari, in virtù del diritto d’autore, ne venissero compensati. La battaglia del copyright potrebbe prosciugare le fonti dell’Ai e riportare all’anno zero il progetto. In nome del copyright. A seguire l’esempio che arriva dal Nyt potrebbero essere tantissimi editori. Non soltanto negli States ma in tutto il mondo occidentale. Insomma, la battaglia è servita e pure gli schieramenti sono pronti a scendere in campo.