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Il Messaggero: l’assemblea dei giornalisti contro nuovo piano di crisi

L’assemblea dei redattori del Messaggero giudica una provocazione inaccettabile la minaccia dell’azienda di integrare il piano di crisi con 15 ulteriori esuberi prima ancora di aver completato quello in corso, in scadenza il 6 maggio 2014, che rende possibile l’uscita di 26 giornalisti. Un piano che, va ricordato, segue quello varato nel 2009 che ha portato fuori dal giornale oltre 50 colleghi. La nuova minacciata riduzione degli organici significherebbe infatti il sostanziale dimezzamento della redazione del Messaggero in 5 anni e renderebbe impossibile garantire ai lettori un prodotto di qualità. L’assemblea ricorda poi che l’annuncio di una integrazione dello stato di crisi viola le intese siglate il 23 aprile 2012 – e in particolare il punto 5.b del verbale di accordo interno dove si afferma che “le parti concordano di affrontare gli eventuali problemi che si presenteranno nel corso di attuazione del piano di riorganizzazione, senza ricorrere ad azioni unilaterali” – e si configura come comportamento anti-sindacale. L’assemblea invita quindi l’azienda e soprattutto il direttore, a cui compete ai sensi del punto 4) del protocollo D del Cnlg individuare i giornalisti da collocare in Cig finalizzata al prepensionamento e comunicare i criteri in base ai quali ha proceduto alla suddetta individuazione (come ricordato anche al punto 1.i del verbale di accordo firmato in sede Fieg il 23 aprile 2012) a completare lo stato di crisi attuale, prima di procedere a ogni ulteriore intervento. Se l’obiettivo della società editrice è quello di ridurre il costo del lavoro, appare infatti del tutto incomprensibile e strumentale la richiesta di nuovi esuberi, dato che a oggi sono almeno sei i colleghi che hanno già maturato i requisiti per il pre-pensionamento e hanno manifestato in più occasioni la volontà di uscire, e che invece l’azienda ha deciso invece di tenere in organico. L’assemblea di redazione del Messaggero rinnova quindi l’invito al direttore a farsi parte attiva pe una soluzione condivisa che permetta di completare lo stato di crisi in corso senza azioni unilaterali.

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