Per chi si trova nel girone degli esodati, condannati a non trovare mai pace
(e pensione), sembra davvero non esserci via d’uscita.
A tesserne le fila è il ministro del lavoro Elsa Fornero che sembra peccare di mancanza di lungimiranza o quanto meno di poca dimestichezza con i numeri.
Il primo punto è stabilire il numero esatto di lavoratori che ancora rischiano di restare senza pensione e senza reddito, esclusi i 65mila che sono per così dire salvi, a rischiare sarebbero in 55 mila.
“Su quei lavoratori che meritano, pur con costi per la collettività, di essere salvaguardati dagli effetti del recente inasprimento dei requisiti per il pensionamento”, si è espressa il ministro nel corso dell’informativa
al Senato, per riprendere le sue parole.
Ne è venuto fuori quindi che si procederà alla tutela di lavoratori interessati da accordi collettivi sottoscritti con l’apporto del Governo, mentre per altre categorie la storia è diversa: a loro la salvaguardia è concessa purché maturino il diritto entro il 2014 o superino una certa soglia di età.
Per gli esodati che non hanno quindi ancora raggiunto una certa anzianità si profilano diverse soluzioni che vanno dall’estensione del trattamento di disoccupazione a formule di sostegno dell’impiego di queste persone con incentivi contributivi e fiscali.
Come ovvio non si placano le proteste dei sindacalisti, per la Cgil, infatti, la questione è ancora in alto mare, fa coro la Cisl che parla di risposte evasive e contraddittorie, la Uil giudica i dati inaffidabili e l’Ugl constata la mancanza di volontà a risolvere il problema.
Tutte accuse respinte dal ministro che torna sul giallo dei numeri degli esodati forniti dall’Inps , affermando che le tabelle Inps hanno fornito un quadro parziale e fuorviante, perché non contengono tutti gli accordi di mobilità, i cui effetti si perfezioneranno nei prossimi anni, e sui quali il Governo sta facendo la ricognizione.
Quello su cui la Fornero insiste è l’abbandono di una certa cultura per cui dopo i 50 anni ci si avvicini alla pensione, secondo la sua tesi è sbagliato credere che un uomo alla soglia dei sessanta anni non possa essere produttivo per il mondo del lavoro.
L’Italia non è un paese per giovani.