Quale è il rapporto tra la stampa italiana e l’intelligenza artificiale? Quali saranno le prospettive, le potenzialità e i rischi di un connubio che, giorno dopo giorno, si fa sempre più stretto e necessario?
In un articolo pubblicato sabato scorso dal Sole 24 Ore, c’è un importante spunto per il dibattito. Che, inoltre, vuole imporre un deciso e sostanziale cambio di passo sul rapporto tra la tecnologia e la professione della comunicazione. Secondo Polis, laboratorio think tank sul giornalismo in seno alla London School of Economics, i giornalisti dovrebbe smettere di chiedersi cosa possa fare per loro l’intelligenza artificiale ma dovrebbero iniziare a scandagliare le possibilità che la tecnologia può offrire al settore.
Quello che manca, soprattutto in Italia, sarebbe una strategia di utilizzo di uno strumento dalle enormi potenzialità ma che per il 70% degli intervistati, in un campione di settantuno media in 32 Paesi, tra cui l’Italia, restano al limite del misconosciuto.
“La ragione – spiega Beckett al Sole 24 Ore – è che si tratta di tecnologie nuove e ancora sperimentali. In molti casi il management ne sta ancora studiano le potenzialità, per esempio osservando come sono utilizzate in altre industry come il gaming, le assicurazioni e dove gli investimenti sono già maturi. Il rischio è che, se i media di informazione non cominciano a pensare all’ Ia in maniera strategica, possano essere in breve tempo superati da altri competitor, che siano altri media o player tecnologici che usano la tecnologia per migliorare il proprio prodotto». La paura che i robot rimpiazzino i reporter in carne e ossa sembra invece un mito da sfatare: «I dati raccolti non mostrano perdite di posti di lavoro significativi là dove soluziondi di Ia sono state introdotte in maniera massiccia – sottolinea Beckett -. Questo perché in parte ci vuole più lavoro, e non meno, per implementare sistemi intelligenti, ma anche perché spesso gli efficientamenti investono trasversalmente le aziende. È il caso del machine learning utilizzato per migliorare l’ esperienza dell’ utente o dell’ analisi dato per il giornalismo investigativo”. Liberare, insomma, il giornalista, il redattore o l’editor dal lavoro di routine e destinarlo a compiti più complessi. Oppure procedere con l’automazione del lavoro giornalistico, tagliando ancora di più le già scarse prospettive occupazione di un settore che è alle prese con una crisi feroce che ormai lo affanna da un decennio?