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IL FUTURO DELL’EDITORIA È IN BILICO: L’UNICA STRADA È UN DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

La crisi del manifesto è l’epifania del disastro italiano dei media. Dopo l’amarissima chiusura cartacea di Liberazione, ecco dispiegarsi in tutta la sua violenza simbolica la vicenda del quotidiano già diretto da Luigi Pintor (che Enrico Berlinguer definì il più grande giornalista italiano), chiamato a suo tempo la ’boutique’ della carta stampata.
La dichiarazione di liquidazione coatta amministrativa è un avvertimento generale. Un paese a baricentro televisivo, ancora soggiogato dalla sottocultura berlusconiana, rischia di vedersi privare del fondamento della democrazia: la libertà di espressione, che in tanto ha senso in quanto permette alle voci meno tutelate dal mercato di esistere. E solo l’esistenza di queste ultime rende credibile quella dei grandi gruppi editoriali, altrimenti meri trust di un’economia concentrata e afflitta dai conflitti di interesse. L’effetto domino tocca un centinaio di testate, con un vasto indotto e quattromila lavoratori.
Tutto ciò ha origini antiche: lo squilibrio del settore e l’invadenza commerciale del modello mediatico prevalente. E recenti: i tagli del centrodestra al fondo editoria, ridotto dalla manovra di agosto a 53 milioni di euro, un decimo rispetto a pochi anni fa. Tagli “lineari” avvenuti in corso di anno finanziario, mettendo in crisi bilanci già scritti, previsioni acquisite, affidamenti bancari prima incerti e ora preclusi. Si era sperato che un emendamento presentato da tanti parlamentari al decreto “mille proroghe” trovasse aperture, ma non è stato così, dichiarato inammissibile perché “non proroga termini”.
Come se la vita ancora di un giornale non sia la prova stringente di una proroga vera, non formale. L’altra strada, un decreto del presidente del consiglio, al momento starebbe nelle speranze del sottosegretario Paolo Peluffo, cui facciamo i migliori auguri. Sappiano però gli esponenti del governo che se lo volessero potremmo in poche ore scrivere una riforma dei criteri di erogazione delle risorse pubbliche, moralizzandoli una volta per tutte.
Tuttavia, qui e ora non c’è che la crisi devastante di un mondo straordinario. Il bavaglio volgare dell’epoca berlusconiana si presenta dentro l’abito bianco della censura di mercato? Non vorremmo doverlo constatare. Non ci si deve arrendere. Mai. Ma c’è un limite a tutto. Molti di noi esultarono quel sabato sera che ci fece intravedere l’uscita di Berlusconi da una porta secondaria del Quirinale. Il voto di fiducia al governo Monti fu una liberazione. Adesso, però, quella gioia sta finendo e se, per un oscuro destino, si facesse buio sulla stampa cooperativa, politica, locale, non profit, la fiducia cesserebbe. Purtroppo. Nell’era dell’informazione, qui sta il “punto di catastrofe”.

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