Il Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria con un recente provvedimento chiude un capitolo della storia dei contributi all’editoria. Il taglio del sostegno all’editoria, infatti, nasce ben prima dell’epoca Crimi; era il 2008, sottosegretario con delega all’editoria era Bonaiuti e capodipartimento Mauro Masi. Il deficit italiano sembrava avere un’unica ragione, i contributi ai piccoli giornali, e si aprì un ciclo in cui si incrociarono tagli ed inchieste giudiziarie. L’allora sottosegretario Bonaiuti, ipergarantista per tutte le vicende che riguardavano Berlusconi, cavalcò su questa tema il giustizialismo più sfrenato. I controlli amministrativi si trasformarono tutti in indagini penali, di cui ci fu gran clamore sui mezzi di informazione, che si dimostrarono, poi, nella grandissima parte dei casi, del tutto infondate. Il Governo Monti poi andò ben oltre. Nel suo primo decreto-legge abolì il sostegno pubblico all’editoria in nome dell’Europa, anche se poi in Europa tutti gli Stati membri finanziano decisamente con maggiore intensità il pluralismo informativo. Ma si sa, il Governo Monti era quello che poteva fare tutto arrivando, addirittura, a nominare sottosegretario Carlo Malinconico che in virtù di quella nomina lasciò l’incarico di Presidente della Fieg. Questo è chiacchericcio, perché più di tutto poterono le leggi di bilancio in ragione delle quali fu previsto che i contributi pubblici erano legati allo stanziamento; in altri termini era il Governo, attraverso un proprio Dipartimento, a decidere quanto impiegare per quella finalità. L’effetto immediato fu che per diversi anni i contributi furono pagati non sulla base dei criteri fissati dalla legge ma sulla base degli stanziamenti deliberati dall’esecutivo, con problemi anche di natura costituzionale tanto che la stessa Corte ha individuato evidenti lesioni dei principi generali in materia di tutela delle minoranze. I tagli di allora andarono, comunque, nella direzione voluta dai Governi, non solo attraverso la riduzione dello stanziamento, effetto diretto, ma, soprattutto, costringendo la gran parte dei giornali a portare i libri in Tribunale, effetto indiretto. Chiaramente chiusero per gran parte le imprese più fragili, le cooperative giornalistiche, i più piccoli. I Governi di allora furono talmente attenti che non utilizzarono nemmeno tutte le risorse disponibili, accantonando le risorse incerte ad un fondo. Recentemente il Dipartimento per l’Informazione e l’editoria dopo anni di rimandi (il primo provvedimento di ricognizione delle risorse per destinarlo ai giornali sopravvissuti risale addirittura alla gestione dell’allora sottosegretario Lotti) ha liquidato le risorse che giacevano sul fondo con un difficilissimo lavoro di ricostruzione delle posizioni ancora liquidabili. E per completezza alleghiamo la ripartizione delle somme tra le imprese ritenute dal Dipartimento ancora in condizioni di essere liquidate. Un pasticcio brutto brutto di oltre dieci anni fa che fece chiudere centinaia di piccoli giornali, creò un vero e proprio salasso sui conti dell’Inpgi e che rese ancora più fragile il sistema dell’informazione in Italia. Oggi è stata, in parte, sanata la parte formale. Ma la sostanza merita di essere ricordata.
Salvatore Monaco