Il ddl diffamazione, attualmente al vaglio del Senato, non contempla i casi civili, spesso più esosi della querela. Un maxirisarcimento può indurre all’autocensura e al fallimento dell’impresa editoriale. Intanto rimangono ancora dubbi sull’estensione della norma ai blog.
Il ddl diffamazione, all’esame della commissione Giustizia del Senato, eviterà, se varato in tempo, il carcere ad Alessandro Sallusti, direttore de “Il Giornale” condannato a 14 mesi di reclusione per diffamazione aggravata a causa di un articolo scritto da Renato Farina, con lo pseudonimo Dreyfus, nel 2007 “su Libero”, quotidiano di cui all’epoca Sallusti era direttore. Il provvedimento, anche se nato dalla scia del “caso Sallusti”, eliminerà la pena detentiva dal codice penale e dalla legge sulla stampa. Tradotto in soldoni: i giornalisti non andranno più in galera per il reato di diffamazione. Un passo avanti, non c’è dubbio. E poi era anche giunta l’ora di “aggiornare” il vecchio codice Rocco.
Tuttavia il ddl sta modificando solo il codice penale. Quindi non entrerà nel merito delle cause civili. A sollevare la questione ci ha pensato Giuseppe F. Mennella, ex capo ufficio stampa di palazzo Madama, nonché ex direttore responsabile de L’Unità e oggi docente di Deontologia della professione giornalistica presso l’Università Tor Vergata di Roma. Mennella ha sottolineato il problema tirando in ballo l’esempio di quanto accaduto, nei mesi scorsi, al giornale “La Nuova Ferrara”. La testata emiliana si era occupata delle vicende giudiziarie di un imprenditore, Giovanni Donigaglia, accusato di associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta della società Coopcostruttori il cui crack, nel 2003, lasciò a bocca asciutta diecimila creditori.
Il pm chiese 14 anni di reclusione per l’imprenditore e “La Nuova Ferrara” raccontò per filo e per segno tutta la vicenda giudiziaria. Donigaglia, però, non gradì. Ed ecco spuntare non la querela per diffamazione, bensì la richiesta di risarcimento danni patrimoniali e morali. Nel mirino 29 articoli pubblicati tra il 2008 e il 2011. Per ripristinare l’onore e la reputazione minata dai pezzi Donigaglia chiese 2 milioni di euro. Tale somma, probabilmente avrebbe fatto fallire la testata. Per fortuna de “La Nuova Ferrara” il giudice ha però rigettato la richiesta, giudicandola infondata. «Gli articoli contestati costituiscono espressione legittima del diritto alla libertà di stampa. Inoltre riportano fedelmente le risultanze delle indagini della procura di Ferrara e costituiscono espressione del diritto di critica e di cronaca sempre effettuata con continenza verbale e senza mai trasmodare in attacchi od insulti personali», ha stabilito la sentenza. Insomma, è andata bene.
Ma se non fosse andata così? Il ddl diffamazione, ora in discussione al Senato, o qualche altra legge, avrebbero evitato al giornale ferrarese di pagare un risarcimento danni così elevato ed esoso? Allo stato attuale no. Perché non c’è nessuna norma che pone un limite alle cause civili. E il ddl diffamazione non contiene novità in tal senso, in quanto affronta solo il lato penale della vicenda. Un vuoto da colmare a tutti i costi perché, come è facile notare, non sono solo le querele a intimorire la libertà di stampa. E a volte anche le richieste di risarcimento possono essere devastanti.
«Ormai da alcuni anni un sempre maggior numero di presunti diffamati evita di ricorrere al giudizio penale. In tale procedimento deve essere provato il dolo, ovvero l’intenzione di agire, del giornalista. Oggi gran parte delle persone che si sentono lese nell’onore e nella reputazione ricorre al giudice civile chiedendo i danni patrimoniali, morali, biologici ed esistenziali», ha affermato Mennella.
In effetti la causa civile ha dei vantaggi: non c’è un limite prestabilito al risarcimento danni e non deve essere dimostrato il dolo. Dunque potenzialmente potrebbe essere un’arma micidiale per limitare la libertà di stampa. A tal proposito Mennella ha invitato i legislatori a considerare anche il lato “civile” della diffamazione. Non sarebbe male stabilire dei paramenti equi di riferimento per il risarcimento danni. Inoltre quest’ultimo dovrebbe essere modulato a seconda della testata perché «50 mila euro per un piccolo periodico o un grande giornale non hanno lo stesso valore», ha precisato ancora l’ex capo ufficio stampa del Senato.
Dunque il messaggio che arriva alla commissione Giustizia è scontato: occorre tutelare i giornalisti anche dalla cause civili. E dunque da eventuali maxistangate economiche che potrebbero avere, paradossalmente, effetti ben più letali della carcerazione stessa. Ma i senatori recepiranno? Mercoledì il ddl dovrebbe passare al vaglio della Camera. Solo allora si saprà qualcosa di più.
Le lacune del provvedimento, tuttavia, non finiscono qui. Ci sono emendamenti in ballo che vorrebbero estendere la legge in questione, con tanto di obbligo di rettifica e di sanzioni pecuniarie, anche ai «siti avente natura editoriale e ai giornali, quotidiani e periodici, diffusi per via telematica». Il che sarebbe anche giusto. Il supporto tecnologico su cui si veicolano notizie e informazioni non dovrebbe essere una discriminante. Tuttavia dai siti di informazione ai blog amatoriali il passo è breve. Infatti non mancano i timori per una potenziale norma “ammazza blog” e per un “bavaglio alla rete”. E non si tratta di una paura infondata. Anche gli addetti ai lavori sono in allarme. «Effettivamente c’è un rischio per i blog, laddove non si fanno differenze con giornali, periodici e siti di informazione. È un vecchio problema, mai risolto davvero», ha dichiarato Vincenzo Vita, senatore del Pd, esperto di comunicazione e di internet. Sarebbe ora di risolverlo. L’occasione non manca.
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