Tra le righe del discusso “decreto Gelmini”, la cui approvazione è prevista oggi al Senato, si annida un provvedimento (l’art. 5) che porta con sé un rischio non solo economico ma anche politico e culturale: il controllo da parte del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, della formazione delle giovani generazioni. Un nuovo, grave, conflitto di interessi.
Il suddetto articolo prevede che i libri adottati, a partire dal prossimo anno scolastico, dovranno essere confermati alle elementari per cinque anni, alle medie e alle superiori per sei. Ciò significa che molte case editrici rischiano di fallire (se non si più produrre si è costretti a licenziare e poi a chiudere) con una perdita di posti di lavoro stimata nell’ordine di diverse migliaia. Ad essere preoccupati sono anche i docenti che, nello spostarsi da una scuola all’altra, rischiano di non poter scegliere gli strumenti del loro lavoro, vedendo così leso il diritto alla libertà di insegnamento.
Ma veniamo nel merito del conflitto di interessi. Il mercato del libro scolastico, in Italia, è diviso, grosso modo, a metà: da una parte case editrici che producono esclusivamente libri scolastici (Palumbo, Zanichelli, Principato, Sei, La Scuola, ecc.), dall’altra quattro gruppi editoriali che fanno anche, ma non solo, libri scolastici (Pearson, Rcs, Mondadori e De Agostini). A pagare i costi maggiori del provvedimento saranno, ovviamente, i produttori scolastici “puri”, cioè quelli che non hanno altre attività. Si prospetta, dunque, la scomparsa dell’editoria scolastica pura a favore delle grandi concentrazioni editoriali. Con un grosso danno per il pluralismo delle idee.
Da parte dell’Aie (Associazione italiana degli editori) qualcuno ha visto uno scarso impegno a contestare le norme contenute nel decreto Gelmini. Ma la spiegazione sta in un nome: Enrico Greco, presidente del “Gruppo editoria scolastica” dell’Aie, è anche amministratore delegato della Mondadori Education, guarda caso proprio del Gruppo di Berlusconi.
La spiegazione data dal Governo all’art. 5, è che si cerca, in questo modo, di aiutare le famiglie a risparmiare i soldi per l’acquisto dei libri scolatici. Stesso motivo che ha portato ad approvare, nella legge n. 133/08, l’art. 15 che obbliga i docenti, a far data dall’ anno scolastico 2011-2012, ad adottare soltanto libri utilizzabili nelle versioni on line e scaricabili da internet. Ma forse il governo non sa che meno del 40% delle famiglie possiede un computer e che stampare un libro a casa, con il relativo pagamento del diritto d’autore, costa più che comprarlo in libreria. Molto più ragionevole appare, invece, la proposta avanzata dal Pd ma non accolta dal Governo, di rendere possibile la detrazione delle spese per l’acquisto dei libri scolastici dalla dichiarazione dei redditi.
Infine, come ha sottolineato Giuliano Vigini, uno dei massimi esperti di editoria e docente di Sociologia all’Università Cattolica di Milano, c’è da sottolineare che “6 anni per materie come la scienza e la tecnica sono un lasso di tempo enorme, in cui le conoscenze cambiano profondamente. Tenere lo stesso libro per un tempo così lungo potrà andare bene al liceo classico ma non negli istituti tecnici o professionali che peraltro sono frequentati dalla maggioranza degli studenti italiani.
Fabiana Cammarano