Il reato di “Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” è disciplinato dall’art. 8 del decreto legislativo n. 74/2000, che punisce con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
Originariamente al terzo comma, tale disposizione prevedeva condanne da sei mesi a due anni qualora il “falso” importo indicato nelle fatture o nei documenti fosse stato “inferiore a 154.937,07 euro per periodo di imposta”. Tale attenuante è stata di recente abrogata dal decreto legge n. 138/2011 che ha riformato i reati tributari improntando il sistema su una sempre maggiore severità nei confronti dei trasgressori.
Tutto questo per consentire e garantire allo Stato la completa e tempestiva percezione delle imposte e permettere all’amministrazione finanziaria di poter esercitare regolarmente e senza ostacoli la propria attività di accertamento.
Nella fattispecie del reato, la fattura per operazioni inesistenti viene considerata emessa al momento stesso della consegna o della spedizione all’altra parte; la mera compilazione della fattura o la detenzione della stessa non integra il reato.
L’emissione o il rilascio di più fatture o documenti per lo stesso periodo di imposta si considera come un solo reato.
Affinché possa configurarsi il reato in esame è necessario che il soggetto abbia agito con dolo. Ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo n. 74/2000, infatti, colui che emette fatture o altri documenti per operazioni inesistenti “e chi concorre con il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’art. 2. E ancora: “chi si avvale di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’art. 8”.
Il decreto prevede, pertanto, una espressa deroga alle regole generali sul concorso di persone finalizzata, evidentemente, ad evitare che chi emette fatture false risponda, poi, anche del delitto commesso da chi le utilizza (e viceversa).
Proprio di recente, però, la Suprema Corte di Cassazione Penale, con la sentenza n. 19247/2012, ha affermato che quanto disposto nell’articolo 9 non trova applicazione nei casi in cui la stessa persona abbia proceduto, in proprio, sia all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, sia al loro successivo utilizzo.
Ciò significa che laddove gli utilizzatori risultassero essere gli stessi che, magari tramite società di comodo, hanno emesso le fatture false, per loro i capi d’imputazione raddoppierebbero. Tale sentenza ha, di fatto, rivoluzionato la portata applicativa del reato.
Se fino ad oggi, infatti, “produttori” ed utilizzatori di fatture false, venivano chiamati a rispondere di uno soltanto dei due illeciti commessi, dal pronunciamento della Suprema Corte in poi, chi sarà beccato con le mani nel sacco potrà essere chiamato a rispondere di entrambe le operazioni con evidente, notevole aggravio di pena.
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