Il caso Domani: la bagarre tra dossieraggi e informazione

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Il caso Domani, ovvero l’inchiesta sui presunti dossieraggi della Procura di Perugia. Il giornale caro a Carlo De Benedetti è finito nella bufera con tre cronisti indagati. Si tratta di Giovanni Tizian, Nello Trocchia e Stefano Vergine. Sono accusati di aver utilizzato metodi illegali per ottenere informazioni riservate su esponenti politici. Mentre le indagini si allargano e ci si interroga, sempre di più, sui modi e sui metodi della stampa, mentre si ergono muri deontologici sulla grammatica e la sintassi lasciando aperte brecce sui profili di tutela dei cittadini e del loro diritto a non essere, se non spiati, quantomeno alla tutela della loro privacy. Arrivano le parole dell’editore Carlo De Benedetti che, cicero pro domo sua, in una nota ha difeso i suoi cronisti finiti sotto indagine e spiega: “Con riferimento all’inchiesta di Perugia che ha coinvolto anche alcuni giornalisti del quotidiano Domani da me fondato, voglio esprimere la vicinanza nei loro confronti, certo che sapranno chiarire pienamente il loro operato professionale”. De Benedetti ha poi aggiunto: “La magistratura saprà senz’altro distinguere ogni eventuale responsabilità nella vicenda. Ancora una volta, voglio però ribadire l’importanza di difendere il fondamentale diritto alla libertà di stampa inteso sia come diritto ad informare ed essere informati sia, con riferimento specifico al mio ruolo di editore, come obbligo morale a non interferire in alcun modo nel lavoro dei giornalisti, come è testimoniato dalla mia storia nei giornali ora del Gruppo Gedi e oggi in Editoriale Domani”.

Sul caso è intervenuta, in difesa chiaramente, la segretaria generale della Fnsi Alessandra Costante: “A pubblicare le notizie i giornalisti non commettono mai un reato. Se quelle notizie sono frutto dei reati di qualcun altro non sta ai giornalisti accertarsene. I giornalisti hanno come unico scopo della loro professione cercare e verificare i fatti e pubblicare notizie che siano veritiere”. E poi: “Se esiste un istituto che è il segreto professionale un motivo c’è ed è esattamene quello di non rivelare le fonti. Non vorremmo mai che l’indagine a carico dei giornalisti dovesse servire da un lato ad annichilire ancora una volta la libertà di stampa e dall’altro a provare a dare conferme che magari gli inquirenti non hanno”.

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