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Il braccio di ferro tra Google, editori ed Europa (wired.it)

Un estenuante braccio di ferro che dura da anni, la parziale apertura per l’indicizzazione dei contenuti giornalistici di Francia e Belgio e, in queste ore, una presa di posizione che potrebbe portare alla svolta definitiva: gli editori europei, senza se e senza ma, non ci stanno. Il no è rivolto al tentativo di Google, reso pubblico lo scorso aprile, di venire incontro alle richieste della Commissione europea. Con una lettera firmata da centiana fra editori comunitari e relative associazioni di categoria, compresa l’italiana Fieg, viene chiesto al vice presidente della Commissione Ue Joaquìn Almunia di rifiutare la proposta di BigG volta a chiudere l’indagine per sospetto abuso di posizione dominante aperta nel 2010 su segnalazione di varie società, fra le quali la rivale giurata Microsoft. Almunia stesso si era già detto poco soddisfatto della posizione di Mountain View.

 

Il colosso fondato da Larry Page e Sergey Brin aveva messo sul piatto in primavera una serie di (piccole) modifiche alla presentazione grafica dei risultati, fra le quali delle etichette che evidenzino le fonti facenti riferimenti a prodotti del gruppo stesso, e di promesse ai proprietari dei contenuti, come la possibilità di controllare la visualizzazione del materiale su Google News. La strategia è la stessa che ha portato a una sospirata stretta di mano negli Stati Uniti con la Federal Trade Commission: smussare gli angoli per scrollarsi di dosso la spada di Damocle delle sanzioni. Nel Vecchio Continente, come si legge in un documento della Commissione europea sull’argomento, “la situazione è diversa. Negli Stati Uniti Bing e Yahoo! rappresentato una sostanziale alternativa a Google: la loro quota di mercato è pari al 30%. Nella maggior parte dei paesi europei Google ha invece mantenuto quote di mercato superiori al 90%”. Il nocciolo della questione è quindi l’ importanza commerciale delle gerarchie di risultati proposti da Google. Se quindi, sono un portale di comparazione prezzi di viaggi avrò di che preoccuparmi quando Mountain View deciderà di dare la priorità in cima alle ricerche a un suo servizio analogo. Nel 2011, al cospetto della commissione di Giustizia del Senato statunitense, il presidente Eric Schmidt aveva ben esplicitato la posizione della Web company in merito difendendo, sostanzialmente, il diritto di valutare cosa sia più utile per l’utente all’interno di un spazio privato. L’ Europa, da parte sua, aveva chiesto lumi sulle gerarchie dei risultati, sulla pubblicazione di recensioni di siti altrui e sulla correttezza degli accordi pubblicitari.

 

Secondo gli europei, come scrive nella lettera il presidente della Federazione tedesca Helmut Heinen, “Google deve sottoporre tutti i servizi, inclusi i propri, agli stessi criteri, utilizzando gli stessi meccanismi di analisi, indicizzazione, ordinamento e gli stessi algoritmi. Senza consenso preventivo non deve usare contenuti di terze parti a meno che non sia strettamente indispensabile per la ricerca orizzontale”. La risposta, dall’eloquente titolo Answers people want (le risposte di cui hanno bisogno le persone), firmata dal senior vice president and general counsel Kent Walker è sempre la solita: “Costruiamo Google per gli utenti, non per i portali. E non vogliamo fermare l’innovazione […] Abbiamo risposto così alla Commissione europea e pensiamo di aver fatto un buon lavoro”. Palla al centro, dunque, ancora una volta.

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