La crisi dell’editoria americana è evidente confrontando i dati del 2007 con quelli del 2000: il fatturato della pubblicità è sceso dall’80% al 20%, in diminuzione anche i profitti delle catene meglio gestite, come la Gannett, editrice di Usa today, il quotidiano più diffuso. Licenziamenti, prepensionamenti e cambi di proprietà sono accelerati. Secondo l’analisi condotta da Ken Doctor della Outsell, la crisi è data dal fatto che fattori ciclici negativi si sono sovrapposti a problemi strutturali, senza dimenticare la recessione economica in atto. La Federal communication commission ha tolto ogni ostacolo ad un rapido processo di concentrazione. Cosa che ha generato una disputa politica, come è naturale che avvenga in periodi di campagna elettorale. I democratici affermano che, in America, il Quarto potere svolge un ruolo pubblico e non anche costituzionale, che è una garanzia di pluralismo e perciò non può finire nelle mani di pochi. Se vincessero le elezioni interverrebbero contro la concentrazione dei media. I repubblicani ribattono che i giornali sono delle imprese come tutte le altre e devono essere soggette alla legge del libero mercato. Sul piano puramente economico si profila una soluzione multimediale alla crisi dei giornali, secondo il modello della News corp, di Rupert Murdoch che prospera assorbendo tv, radio, riviste, quotidiani ma che diversifica nel cinema, on line e così via. Murdoch è all’avanguardia nell’industria dell’informazione e dell’intrattenimento insieme, come dimostrano la tv Sky e il Wall Street journal, pilastri su cui, a suo parere, poggia il futuro dell’editoria giornalistica. Secondo Doctor i giornali devono sicuramente riciclarsi come multimedia ma devono anche reinventarsi e, come i politici con gli elettori, tornare in sintonia con i lettori.
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