Il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti afferma che il Coordinamento delle Associazioni di stampa per un sindacato di servizio (Capss), che lui cita come “sindacato di servizio” – non è stato efficace nel contrasto del precariato e nel miglioramento delle condizioni del lavoro autonomo: ha ragione. Abbiamo netta la percezione che la nostra iniziativa abbia necessità ed urgenza di essere più incisiva.
Non per caso, abbiamo con forza sostenuto l’esigenza che l’elemento centrale della prossima contrattazione nazionale debba essere l’obiettivo di portare sotto le tutele del contratto quei colleghi-collaboratori che sono in una posizione economicamente dipendente dalle aziende editoriali cui forniscono il loro lavoro ad un costo non lontano dai minimi contrattuali. La consapevolezza dell’insufficienza della nostra azione non ci ha tuttavia impedito, a livello territoriale, di chiudere numerosi accordi che hanno consentito a tanti colleghi precari di entrare nel recinto delle tutele, dei diritti e delle garanzie contrattuali, così come di sostenere con forza gli sgravi contributivi dell’Inpgi, a sostegno della stabilizzazione di rapporti di lavoro precari e della creazione di nuova occupazione. Saranno pure risultati limitati e insignificanti, ma ne andiamo fieri perché sono il frutto del nostro modo di intendere il sindacato: vicino ai problemi dei colleghi e lontano da qualsiasi forma di demagogia e propaganda. Nelle condizioni in cui si trova il mercato del lavoro, avviare una trattativa contrattuale che si prefigga l’obiettivo di mettere più gente al lavoro, potrebbe sembrare temerario. Noi siamo convinti che sia invece l’unica strada per rimettere nelle mani delle parti sociali, delle aziende editoriali e dei giornalisti – ciascuno per la propria parte – il destino del settore dell’informazione in Italia. Un destino altrimenti affidato al bisturi, se non all’accetta, delle banche: azioniste o creditrici delle aziende stesse. E’ evidente che questa sfida implica anche una riflessione su ciò che la professione è e sarà, su come e quanto si lavora per produrre notizie che devono tornare ad essere al servizio esclusivo dei cittadini. Un Ordine riformato, efficiente ed efficace può essere un valido supporto per coloro che in questi anni non si sono certo spesi in polemiche nè hanno venduto illusioni, ma hanno cercato di unire ciò che gli editori avevano diviso. E’ la nostra storia: dal G8 di Genova, quando assistemmo strada per strada 1.500 free lance arrivati da ogni parte del mondo, al nostro impegno di oggi redazione per redazione per stabilizzare e contrattualizzare i colleghi posti al margine della retribuzione, ma non certo della professione. Constatiamo che la riforma dell’Ordine resta al palo, ma nel frattempo continuano a moltiplicarsi i canali di accesso alla professione. “E’ la legge bellezza”, ci siamo sentiti rispondere in questi anni quando sollecitavamo prudenza per non squilibrare oltre i livelli di guardia domanda e offerta di forza lavoro. Oggi sul tema interviene un atto del Consiglio Nazionale dell’Ordine che con il cosiddetto “ricongiungimento” vorrebbe nelle intenzioni anticipare un pezzo di riforma, ma di fatto punta a moltiplicare a dismisura il numero dei precari e a destrutturare la contattazione collettiva e il contratto nazionale di lavoro. Si parte dal tetto rischiando di compromettere le fondamenta di una casa affollata di “fantasmi”: quei giornalisti iscritti all’Ordine che non hanno alcuna posizione previdenziale, ma non vengono cancellati dagli elenchi, ma anzi si tollera che distorcano il mercato del lavoro. Sono circa 60mila. A chi giova mantenerli negli elenchi dell’Ordine? Il cosiddetto “ricongiungimento” – al netto del rischio di creare una giungla di criteri differenti da regione a regione per accedere ad un titolo professionale, in un’ottica da gabbie salariali che, guarda caso, molti editori vorrebbero introdurre – sarà contestuale ad una “ricognizione” degli elenchi dei pubblicisti? Abbiamo molti dubbi in proposito. Chi oggi sta per decidere – dopo la laurea – se iscriversi ad un corso biennale presso le scuole riconosciute dall’Ordine, investirà sulla propria formazione, chiedendo un sacrificio economico alla propria famiglia, o si riserverà la strada – non meno costosa, ma decisamente più comoda perché regolata dalla discrezionalità dei singoli ordini regionali – di farsi sfruttare da qualche editore? Se questa è propaganda, noi ne siamo responsabili. Ma non temano gli amici che oggi governano l’Ordine: il tema che poniamo non è chi debba essere il re, ma a quali condizioni e per fare che cosa sia utile conservare un regno di cui – in queste condizioni – risulta difficile comprendere l’utilità. Il Coordinamento delle Associazioni regionali di Stampa per un sindacato di servizio (Capss) di Veneto, Liguria, Val d’Aosta, Trentino Alto Adige, Puglia, Basilicata e Molise
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