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I grandi giornali attaccano i piccoli sui contributi all’editoria, ma…

Il tema del sostegno pubblico all’editoria ricorre frequentemente ma è un tema che viene spesso dibattuto, e mai approfondito. Da quando Vito Crimi, ex sottosegretario all’editoria, decise, in accordo con la Lega, di abrogare il sostegno pubblico all’editoria le cose sono cambiate, e non poco. Il Movimento Cinque Stelle aveva fatto dell’abolizione dei contributi all’editoria un proprio cavallo di battaglia e il provvedimento voluto da Crimi andava, esattamente, in quella direzione. O meglio, sembrava andare in quella direzione. Eh sì, perché quella norma condannava semplicemente alla chiusura i giornali editi da cooperative giornalistiche e da società non profit ma non incideva per nulla sugli altri giornali, quelli, per intenderci, editi dai grandi editori, dalle società quotate in borsa che distribuiscono gli utili, quindi parte dei contributi percepiti agli azionisti. Tipo “Il Fatto quotidiano” che – nonostante abbia scritto nel sottotitolo della testata “non riceve alcun contributo pubblico” –  di contributi ne riceve eccome, come dimostrato dai documenti che alleghiamo estratti dal Registro nazionale degli aiuti di Stato, quindi documenti pubblici. Ma tornando al tema del contributo pubblico all’editoria, quanto spende ogni anno lo Stato per sostenere il settore, da anni in forte crisi?

All’interno del bilancio dello Stato ci sono sostanzialmente due fondi: il fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione e il fondo straordinario.

I contributi diretti, ossia quelli di cui fruiscono i giornali editi da cooperative giornalistiche, società non profit, giornali editi e diffusi all’estero e i giornali editi nelle lingue delle minoranze linguistiche, hanno assorbito nel 2022 euro 89.638.282 attingendo dal Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione.

Per la cronaca questo Fondo ha uno stanziamento, sempre per il 2022, di circa 67 milioni di euro destinati all’emittenza radiotelevisiva.

Un’altra misura importante è il credito d’imposta per gli investimenti pubblicitari effettuati sui giornali e sulle emittenti televisive e radiofoniche locali. Per questa misura, sempre 2022, lo stanziamento è stato pari a 90 milioni di euro.

Il Governo Conte, il secondo (non quello con Crimi sottosegretario), al tempo del Covid ha introdotto diversi crediti d’imposta sempre a valere dal Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione. Con l’articolo 190 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, è stato introdotto il credito d’imposta sugli investimenti sostenuti per i servizi digitali in ragione del 30 per cento della spesa sostenuta nell’esercizio precedente. Per il 2022 questa misura è costata 10 milioni di euro.

Sempre lo stesso Governo ha introdotto un credito d’imposta per l’acquisto della carta acquistata per la stampa delle testate edite nell’esercizio precedente in ragione del 30 per cento delle spese sostenute. Per il 2022 questa misura è costata 60 milioni di euro.

Il Movimento Cinque Stelle, che faceva parte del Governo che emanò queste misure, impose il divieto di accesso a queste misure per le cooperative giornalistiche e per le imprese non profit, di fatto evitando che parte delle risorse andassero ai giornali editi da editori puri. Ma questo è un altro ragionamento.

Limitatamente al 2021 il Governo Draghi introdusse un ulteriore credito d’imposta pari al 30 per cento delle spese sostenute per la distribuzione delle testate edite. Stanziamento 60 milioni di euro. Anche per questa misura è stato precluso l’accesso ai quotidiani editi da cooperative giornalistiche e imprese non profit.

Dal 2019 sempre utilizzando le risorse destinate al Fondo per il per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione è stato introdotto un contributo a favore degli abbonamenti a quotidiani e periodici sottoscritti dalle istituzioni scolastiche e dagli studenti. Per questa misura lo stanziamento è stato pari a 20 milioni di euro.

Sempre il Governo Draghi ha introdotto il Fondo straordinario per gli interventi di sostegno all’editoria. Il fondo ha una dotazione di 140 milioni di euro ed ha una destinazione molto eterogenea.

Questo fondo ha una peculiarità. Infatti, mentre tutte le altre misure sono dettagliatamente e puntualmente disciplinate da una legge, in questo caso il legislatore ha sostanzialmente dato una delega in bianco al Governo prevedendo che sia il Presidente del Consiglio dei Ministri, con un proprio decreto, a ripartire le risorse tra i veri mezzi sulla base di criteri discrezionali. Onestamente appare alquanto singolare che venga chiamato il Governo, e quindi, la maggioranza a tutelare il pluralismo, e quindi le minoranze e le diversità, ma questa delega in bianco, come detto, è stata attribuita dal legislatore.

Per il 2023 60 milioni di euro sono stati destinati agli editori di giornali e periodici con un contributo pari a dieci centesimi per le copie vendute nel 2022. Anche questa volta sono state escluse le cooperative giornalistiche e le imprese non profit, dimostrando una singolare continuità tra la gestione del pluralismo dell’attuale sottosegretario Alberto Barachini rispetto ai desiderata di Vito Crimi.

Per le assunzioni di giornalisti e professionisti con meno di 35 anni e per la stabilizzazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa è stato previsto uno stanziamento di 15 milioni di euro.

Inoltre, 55 milioni di euro sono stati previsti a favore degli investimenti in tecnologie innovative con 10 milioni a favore delle imprese editrici di quotidiani, periodici e delle agenzie di stampa, 20 milioni a favore dei fornitori di servizi di media audiovisivi, 15 milioni a favore dei fornitori di servizi di media audiovisivi e 10 milioni a favore dei titolari di concessioni radiofoniche.

Infine, per sostenere la sempre più traballante rete di vendita dei giornali è stato previsto uno stanziamento di 10 milioni di euro.

Chiaramente questa narrazione risente della sovrapposizione temporale delle misure e può non essere fedele. Ma sicuramente è realistica. Il settore è in crisi e va sostenuto. Ma appare evidente che da un sostegno selettivo come quello disgregato dall’ex sottosegretario Vito Crimi si è passati, sostanzialmente, ad un sistema di contributi a pioggia. Con il netto tentativo da parte dei vari Governi di passare da contributi disciplinati da una legge, e quindi veramente trasparenti, a misure decise dagli esecutivi che possono, per ovvie ragioni, orientare la linea editoriale dei giornali. E sempre più si parla di bandi. Attaccando sempre e comunque le cooperative giornalistiche ed i giornali non profit nonostante, dati alla mano, il contributo stanziato a favore della categoria più debole, in quanto per definizione composta da editori puri, sia del tutto residuale rispetto all’attuale sostegno pubblico al settore.

ECCO A QUANTO AMMONTA IL CREDITO D’IMPOSTA SULLA CARTA PER IL FATTO QUOTIDIANO

ECCO A QUANTO AMMONTA IL CREDITO D’IMPOSTA SUI SERVIZI DIGITALI PER IL FATTO QUOTIDIANO

SECCO A QUANTO AMMONTA IL CREDITO D’IMPOSTA PER LA DISTRIBUZIONE PER IL FATTO QUOTIDIANO 

Salvatore Monaco.

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