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I “due padroni” del Corriere, i regolatori e il “puparo” Bazoli

Le parole feroci, i colpi di scena sul mercato, le punzecchiature a distanza fanno sembrare la contesa per il controllo del Corriere della Sera una battaglia personale tra due soci contrapposti, Diego Della Valle (d’ora in poi DDV, avvicinatosi all’influente banchiere Giovanni Bazoli) e John Elkann; destinati allo scontro perché s’intesteranno quote equivalenti della Rcs, società proprietaria del quotidiano. Al di là delle schermaglie delle ultime settimane, tra i disegni divergenti per il “Corriere con due padroni” s’interpongono i tre regolatori del mercato: la Consob (Autorità della Borsa), l’Agcom (comunicazioni), e l’Antitrust (concorrenza). Scrutano gli sviluppi degli interventi di Elkann, presidente Fiat, e di DDV, fondatore di Tod’s.

DDV ha fatto molti annunci, ma ha ufficializzato l’intenzione di salire “oltre” il 20 per cento di Rcs soltanto giovedì, quando la Borsa era ancora aperta, con l’intento di superare Fiat. Venerdì scorso, il Lingotto ha “prenotato” il 20 per cento delle quote, rastrellando sul mercato i diritti ceduti da altri soci contrari alla ricapitalizzazione della sofferente compagnia editoriale. Fiat ha sborsato 80-90 milioni per passare dal 10 al 20 per cento. Per battere Elkann, DDV dovrà spendere di più visto che parte da una quota più bassa (8,8). L’imprenditore marchigiano avrebbe liquidità ben superiore ai 100 milioni: per rafforzarsi ha rimpatriato i capitali tenuti in Lussemburgo nell’estinguenda finanziaria Dorint.

Ora la Consob osserva tre cose: i vorticosi scambi sul titolo Rcs, la trasparenza delle operazioni (ci sono stati colloqui informali), e soprattutto la trasformazione dell’azionariato post aumento (sottoscritto per l’85 per cento). Quel patto di sindacato che controllava Rcs è di fatto defunto con le defezioni di alcuni pattisti e la diluizione di altri; avere due soci dominanti cambierebbe drasticamente gli equilibri. L’interrogativo è se si renderà necessaria un’offerta di pubblico acquisto dal momento che Fiat e DDV avrebbero quote maggioritarie e decisive. DDV vorrebbe una governance in stile public company (tutti alla pari, con il 10 per cento), Fiat invece preferisce conservare la forma del patto. L’ad di Mediobanca, Alberto Nagel, azionista forte del 15 per cento, ha chiesto di convocare per la fine di luglio una riunione plenaria per definire il riassetto (lo riportava il Messaggero). Sullo sfondo, c’è l’intenzione della famiglia Agnelli di accorpare la “sua” Stampa (torinese) con il Corriere (milanese). L’operazione è sottoposta ai vincoli dell’Agcom e dell’Antitrust perché in odore di “concentrazione”: sia nell’editoria sia nella pubblicità, Fiat gestirebbe una grossa fetta del mercato.

Dalla summa di questi elementi si afferra la regia del dominus di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli. Giancarlo Galli, biografo di banchieri, da Mattioli a Cuccia fino a Bazoli, affida al Foglio la sua visione della “grande strategia” dell’ottuagenario finanziere bresciano, il quale pur di fermare lo “scivolamento” del Corriere verso Torino ha trovato un alleato in DDV, garantendogli in cambio lo scioglimento del patto e la revisione del piano di ristrutturazione Rcs. Il principio è lineare: “Chi è nemico del mio nemico è mio amico”. “Bazoli forse non si è accorto che la sua autorità si era indebolita e che Fiat si muoveva lungo altre direttrici. Una sgradita fusione sinergica tra Stampa e Corriere l’ha spinto a ricompattarsi con DDV – socio rimasto ai confini di Rcs e che l’aveva definito ‘arzillo vecchietto’ – per contrastare le mire di Elkann e scongiurare una migrazione prossima ventura del Corriere presso qualche lido straniero. Così – dice Galli – senza usare soldi suoi (Intesa non incrementerà la sua partecipazione, ndr) Bazoli conserva una certa influenza per mezzo di DDV”. DDV da ieri ha anche un altro “sponsor”: Luigi Bisignani, il consulente che “sussurrava ai potenti”, ha detto di tifare per lui.

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