Il primo è stato il Washington Post, poi è toccato al Time e ora anche al New York Times, per il quale Charles Fisher partirà da Roma entro l’estate e, sembra, senza essere sostituito.
Eppure i corrispondenti stranieri in Italia ci stanno benissimo. Il vero problema è che la stampa estera non sembra interessata alle chiacchiere e alle baruffe della nostra politica, si cercano fatti, notizie, quelle vere. Per farsi un’idea di come lavorano i giornalisti negli Stati Uniti basta pensare allo scandalo Watergate, un’inchiesta che ha portato alle dimissioni del presidente e ha messo sotto accusa un intero settore della Cia. Oppure pensiamo a Le Monde, in cui il giornalista Edwui Plénel scoprì che l’Eliseo spiava tutti attraverso una cellula segreta. O ancora si pensi al britannico The Indipendent, che ha fatto le pulci a tutti i primi ministri e persino alla dinastia di Sua Maestà pubblicandone appannaggi, prebende, vitalizi. In Italia, invece, il mestiere del vero giornalista non è facile. Ogni volta che i corrispondenti intervistano un nostro presunto potente, vengono pubblicamente smentiti il giorno dopo, salvo poi ricevere la telefonatina dell’intervistato che confessa: “So benissimo di aver detto certe cose, è la verità, ma devo far finta di smentire…” Lo stesso Charles si è visto smentire da Romano Prodi, l’intervista rilasciata sul New York Times, dove affermava che “Italia è allo sfascio”.
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