I CITTADINI HANNO DIRITTO DI SAPERE COSA FA BERLUSCONI: IL GIUDICE “ASSOLVE” LE DIECI DOMANDE DI REPUBBLICA

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Berlusconi ha perso la causa che fece al quotidiano “comunista” Repubblica per le “nuove dieci domande” poste da Giuseppe D’Avanzo il 26 giugno 2009 sull’intreccio politico-giudiziario dei casi di Noemi Letizia e di Patrizia D’Addario. Domande che il Premier aveva definito «impertinenti, tendenziose e sgradevoli» e che invece, il giudice Angela Salvio della sezione civile del tribunale di Roma, con una sentenza del 5 settembre ha giudicato «un legittimo esercizio del diritto di critica e la lecita manifestazione della libertà di pensiero e di opinioni garantita dall’articolo 21 della Costituzione».
Siamo nel 2009 e le domande riguardavano la candidatura di veline; i rapporti con Noemi Letizia e suo padre; il presunto rapporto con il mondo delle escort; dell’uso inopportuno dei voli di Stato e le dichiarazioni di Veronica Lario. Berlusconi definì le domande un progetto eversivo, un complotto, una campagna denigratoria ai suoi danni. Fu proprio Berlusconi che dichiarò, a quei tempi, a Porta a porta: «Chi è incaricato di una funzione pubblica deve chiarire» ma poi si rifiutò di rispondere alle dieci domande e mandò il giornale in tribunale, chiedendo un milione di euro di risarcimento. Ma il giudice Salvio gli dà torto e lo condanna a pagare le spese legali con una sentenza di 15 pagine destinata a pesare nella storia dei rapporti tra la stampa e il potere politico.
La Costituzione, la Convenzione europea dei diritti dell’ uomo, il nostro codice penale parlano chiaro: non c’è diffamazione a mezzo stampa se c’è «un interesse pubblico dell’informazione», se «la notizia è vera», se è espressa «in forma civile nell’esposizione dei fatti e nella valutazione». Secondo la Salvio, le dieci domande «non sono state “catapultate” sul giornale da un momento all’altro» ma «a conclusione di un articolo di D’Avanzo che conteneva la ricostruzione analitica degli accadimenti che si erano succeduti in un brevissimo lasso di tempo, che era ben conosciuti e facevano parte della memoria storica recente dei lettori che avevano potuto seguire il rincorrersi di dichiarazioni, fatti, smentite, interviste, foto, registrazioni». Le domande di D’Avanzo erano «poste in maniera civile, garbata e misurata, senza allusioni o insinuazioni malevoli, erano riflessioni critiche sintetiche di interpretazione dei fatti».
Bill Emmott, ex direttore dell’Economist, che caldeggiò le dimissioni di Clinton ai tempi del sexy gate, ha definito l’iniziativa legale del Premier come una sfida alla democrazia, «porre domande a un leader politico, per un giornale, è non solo legittimo ma parte della missione di informare. E la distinzione tra vita pubblica e vita privata, nel caso Berlusconi, non si può fare, è stato lui per primo a fondere le due cose», dunque «causa insensata e impensabile fuori dall’Italia». Lo stesso Emmott ha dovuto difendersi dai legali di Berlusconi per un articolo (“Unfit to lead Italy”) in cui definì Berlusconi persona non adatta a governare l’Italia. La causa, vinta al primo appello, è ancora in corso. Avrà lo stesso esito?
Egidio Negri

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