Quando Beppe Grillo, come lunedì sera dopo Porta a Porta, parla di un “processo online” a politici, imprenditori e giornalisti, e del conseguente diritto di “sputo digitale“, non improvvisa nulla: l’idea si ripete da anni, nei comizi e sul blog. “Dobbiamo fare una piccola Norimberga“, diceva nel novarese ad aprile 2012, sfruttando a fini mediatici la retorica paradossale del rimando al nazismo che abbiamo imparato a conoscere. “Ci vuole un processo pubblico” aggiungeva. “Si tirerà a sorte una giuria di cittadini incensurati e determineremo come farci ridare tutti i soldi che hanno rubato e come indirizzarli a qualche lavoro sociale“.
Un mese dopo precisava sul blog: “Un processo pubblico alla classe politica è necessario“. Certo, come ha ribadito anche consegnando il plastico del castello di Lerici, con tanto di carceri, “senza violenza“. E del resto “nessuno può pensare di sostituirsi alla magistratura o di evocare nuove piazzale Loreto“, scriveva. ”Saint Just e Robespierre non sono esempi da imitare, anche perché finirono, pure loro, sul carretto che conduceva i condannati alla ghigliottina. Il processo deve essere morale, collettivo. Ogni cittadino deve avere il diritto di sputo virtuale“.
Anche nel tour che l’ha portato in tutta Italia per le Europee 2014 l’ex comico ha ribadito il concetto. Per esempio a Torino, lo scorso 17 maggio: il MoVimento 5 Stelle farà, ha detto, “un processo pubblico, non violento, sulla rete, con tanto di pubblico ministero, e voteremo caso per caso quei giornalisti, quei politici e quegli imprenditori che hanno
disintegrato queste tre categorie“.
Mentre i Cinque Stelle si accingono a presentare il volto potenzialmente virtuoso della loro “iperdemocrazia” mostrando il risultato delle consultazioni online sulla legge elettorale, ecco apparirne vigorosamente il lato oscuro. L’esperienza della rubrica del blog di Grillo, ‘Giornalista del giorno’, ha già fatto comprendere chiaramente quale sia l’utilità pratica delle denunce dell’informazione che non piace al movimento: istigare al linciaggio verbale, all’insulto. Allo “sputo digitale“, insomma. Ma qui c’è altro, perché si parla di conseguenze giudiziarie, oltre che morali. Di “indirizzarli a qualche lavoro sociale“, restituire il maltolto, probabilmente immaginare di mettere fine alle carriere dei giornalisti sgraditi.
Concetti di per sé inquietanti, dato che sottomettono la libertà di espressione alla moralità decisa da una singola parte politica. Ma che diventano ancora più inquietanti quando Grillo sostiene che il “diritto” a sputare via Internet su politica, imprenditoria e giornalismo si può esercitare “in perfetta democrazia via web“. Perché no, non c’è alcuna perfezione nei processi decisionali stabiliti dal MoVimento 5 Stelle via Internet. Ci sono degli esperimenti, alcuni – come quello sulla legge elettorale – interessanti, altri né più né meno che un modo per avvolgere decisioni prettamente politiche – esempio, l’espulsione di Adele Gambaro per aver criticato il capo; o quelle di Federica Salsi e Marino Mastrangeli, rei di aver partecipato (proprio come Grillo lunedì) a un talk show – di un manto democratico. Esperimenti a cui, tra l’altro, prende parte solo una piccola parte perfino dell’elettorato a Cinque Stelle: fino alle ultime votazioni, meno della metà degli 80-90 mila iscritti, diventati in queste ore 130 mila (secondo Gianroberto Casaleggio a ‘In 1/2 ora’) o 150 mila (secondo Grillo da Vespa).
Non sarà Robespierre, e vorremmo evitare di utilizzare paragoni storici impropri come fa il leader del movimento. Ma altrettanto certamente la democrazia è un’altra cosa: per esempio, demandare l’esercizio della giustizia alla magistratura, e non al popolo. L’ex comico dice di rispettare la distinzione, ma poi esprime concetti che lasciano pensare l’opposto. A meno che le sue parole vadano prese non seriamente. Quella sul “processo online” è dunque solo una provocazione? Può darsi. Grillo ci ha abituati al suo gioco con i limiti del linguaggio e del dicibile. Una operazione né più né meno di trolling, in senso proprio: di demistificazione, denuncia di (presunte o meno) ipocrisie di un (presunto o meno) “sistema” in cui tutti finiscono per essere indistintamente coinvolti. Tutti quelli che non sono “noi“, e che dunque sono “loro“. La “Casta” che si oppone alla “gente” e che la “gente” deve giudicare, a suon di sputi (virtuali).
Ma la costanza con cui l’idea è stata ed è ripetuta – il “politometro“, che ne è parte, è stato presentato in Parlamento, per esempio – induce a ritenere che se mai il MoVimento 5 Stelle dovesse ottenere la maggioranza e il governo del Paese quei “processi” sul blog di Grillo si terrebbero eccome, e avrebbero conseguenze tutt’altro che virtuali. E del resto, è un’idea perfettamente coerente nel quadro “iperdemocratico” teorizzato da Casaleggio e Grillo da ‘Siamo in guerra’ in poi: la sovranità appartiene al web – o meglio, ai cittadini in rete, di cui gli eletti sono meri esecutori, “terminali” – e dunque non si capisce perché, in quest’ottica, non dovrebbe potersi esercitare sulla politica corrotta, l’imprenditoria corrotta, il giornalismo corrotto. Secondo chi, “corrotto“? Secondo “la rete“, naturalmente (alla faccia delle garanzie democratiche). Basta “un algoritmo” – il famoso Zip War Airganon? – e il gioco è fatto: è “già pronto“, dice Grillo dopo ‘Porta a Porta’.
È questo misto di banalizzazione della complessità del reale e soluzionismo tecnologico, di retorica della partecipazione e trasparenza al servizio di una ipotetica e del tutto irreale idea di democrazia digitale, a spaventare, nell’ideologia dei Cinque Stelle. Che non risolve alcuno dei problemi teorici e pratici visti in atto intutti gli esperimenti di democrazia diretta in tutte le epoche – compresa la nostra, compresi quelli che si basano essenzialmente su Internet – e, inoltre, aggiunge le preoccupazioni di chi ha veduto e valutato la scarsa tolleranza dei suoi due leader nei confronti del dissenso interno, le generalizzazioni improprie sulla degenerazione della professione giornalistica così come della politica e del tessuto imprenditoriale, lo spettro agitato della giustizia popolare che dovrebbe essere giusta perché si esprime via web.
Ecco, se Grillo vuole porsi come un rivoluzionario può certamente fare ricorso a queste immagini, che evocano altro rispetto alla democrazia. Ma se vuole che l’oggetto evocato sia una migliore democrazia, e non la rilettura farsesca e aggiornata al digitale degli incubi autoritari vissuti in passato, potrebbe anche semplicemente smettere di evocarle, e ricordare che se la rappresentanza è morta, eliminarla a suon di sputi non contribuirà certo a far rivivere il Paese.
fonte: www.wired.it
link: http://www.wired.it/attualita/politica/2014/05/20/grillo-la-democrazia-via-internet-e-il-diritto-allo-sputo-digitale/