Il Consiglio dei Ministri ha approvato il regolamento governativo di attuazione della delega sulla riforma degli ordinamenti professionali prevista dalla legge n. 148 del 2011 (stabilizzazione finanziaria e sviluppo). Il Governo, nella deliberazione finale, ha tenuto in debito conto le osservazioni del Consiglio di Stato e del Parlamento, attuando i principi delle liberalizzazioni. In particolare, è stato garantito il principio dell’accesso alla professione libero e non discriminatorio, e dell’effettività del tirocinio e dell’obbligo di formazione continua permanente del professionista. Inoltre, è stato stabilito l’obbligo di assicurazione del professionista a tutela del cliente (prevedendo che la negoziazione delle convenzioni collettive con gli ordini professionali avvenga entro il termine di 12 mesi) ed è stata regolata la libertà di pubblicità informativa relativa all’attività professionale. Infine – sempre in attuazione della delega – è stato fissato il principio della separazione tra gli organi disciplinari e gli organi amministrativi nell’autogoverno degli ordini.
In attesa del testo definitivo, ecco alcune modifiche al testo orginario:
1) Modifica totale all’art. 1, che definisce cosa sia una ‘professione regolamentata’, qualificazione ora riservata ai soli iscritti agli Albi professionali, accogliendo quindi le richieste del mondo ordinistico. All’art. 2 è rafforzato il richiamo all’esame di Stato abilitante, previsto dal’art. 33 della Costituzione e la cosa certamente accontenta il mondo ordinistico.
2) All’art. 3 il nuovo Albo unico nazionale, illegittimo nella sua prima versione cambia completamente veste, perdendo qualunque funzione certificativa e rimanendo con semplici funzioni informative.
3) All’art. 4 è opportunamente previsto che la pubblicità deve essere di tipo ‘informativo’. All’art. 5 viene ripristinata una versione normativa più fedele a quella della legge autorizzante (cioè del decreto legge n. 138/2011. Anche questo era stato un punto su cui si erano soffermate le critiche degli agrotecnici) e il termine per l’obbligo assicurativo dei professionisti è spostato di un anno in avanti. Ci sarà dunque tempo sino al 13 agosto 2013″.
4) L’art. 6, sul tirocinio, era il più ‘critico’ in assoluto; nella prima versione del dpr, infatti, si producevano risultati opposti a quelli voluti dal legislatore. Molti degli errori iniziali sono stati corretti, ma non tutti. Le parti migliorate riguardano la rinuncia del governo ad imporre un tirocinio obbligatorio di 18 mesi per tutti gli Albi (gli agrotecnici salvano così i tirocini di sei mesi per i propri laureati); il ministero della Giustizia rinuncia all’idea di gestire centralmente tutte le convenzioni fra Ordini e Università; i pubblici dipendenti vengono riammessi ai tirocini e i famigerati ‘corsi preparatori’ al tirocinio perdono la loro obbligatorietà per diventare facoltativi e alternativi al tirocinio tradizionale (nella pratica ciò significa che nessuno farà questi corsi, perché troppo costosi e peraltro inutili)”.
5) All’art. 6 rimangono invece irrisolte le seguenti criticità: permane il mancato coordinamento e il conflitto con le più favorevoli disposizioni, per i praticanti, contenute nel dpr 5 giugno 2001 n. 328, di raccordo dei nuovi percorsi di studio universitari con gli Albi professionali; permane irrisolto il conflitto fra le più favorevoli norme, per i tirocinanti, contenute nei diversi ordinamenti professionali rispetto a quelle previste al comma 3 dell’art. 6 dello schema di dpr; permangono ovunque disposizioni sul tirocinio più penalizzanti rispetto a quelle previste dal dpr n. 328/2001; permangono i conflitti sulla potestà ad emanare i Regolamenti sul tirocinio secondo le previsioni di molte leggi professionali (fra le quali la legge 6 giugno 1986 n. 251 istituente l’Albo professionale degli agrotecnici e degli agrotecnici laureati) e quelle contenute nello schema di dpr.
6) All’art. 7 sulla formazione continua il governo insiste a mantenere una formulazione diversa da quella prevista dalla legge autorizzante, la quale ultima affida esclusivamente ai Consigli nazionali il potere di emanare Regolamenti sulla formazione continua; lo schema di dpr subordina invece l’autonomia dei Consigli nazionali al ‘parere vincolante del ministero vigilante benché la legge autorizzante escluda una tale possibilità. Questo aspetto era già stato oggetto delle veementi critiche degli Ordini professionali e dello stesso Consiglio di Stato; facile intuire che, se il governo non rinuncerà alla pretesa, il dpr sarà impugnato in sede giudiziaria.
7) All’art. 8 (Disposizioni sul procedimento disciplinare) la soluzione prospettata non sembra la migliore fra quelle possibili (si prevedono Consigli di disciplina ridondanti, difficili da gestire e con una moltiplicazione di costi poco sostenibile). La riforma del disciplinare riguarda poi solo 6 categorie su 27 (agrotecnici, assistenti sociali, biologi, commercialisti, consulenti del lavoro e tecnologi alimentari) cioè una piccola minoranza del mondo ordinistico. In termini di iscritti le categorie interessate ne contano 247.000 su 2.200.000 complessivamente iscritti negli Albi. Cioè poco più dell’11%”.
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