L’indagine aperta dall’Antitrust UE contro Google, per abuso di posizione dominante, sembra essere giunta ad un punto di svolta. Il colosso di Mountain View è stato invitato a trovare delle soluzioni che potrebbero porre fine all’indagine. D’ altra parte è dal novembre 2010, mese in cui fu aperta l’inchiesta, che Google dichiara la sua disponibilità, pur non condividendo la posizione della Commissione Europea. Ricordiamo che Google controlla il 95% del mercato europeo, mentre negli USA viene utilizzato solo dal 25% degli utenti.
Tutto ha avuto inizio con gli esposti di Foundern, sito britannico di comparizione dei prezzi, e Justice.fr, sito francese di servizi legali. I due portali hanno accusato Google di far comparire in basso le loro pagine nei risultati di ricerca. Nove mesi dopo la Commissione ha aperto un’indagine formale per abuso di posizione dominante. Sono quattro i filoni dell’inchiesta. In primo luogo, ci si chiede se Google abbia veramente abusato della sua posizione per sfavorire altri motori di ricerca come, per l’appunto, Foundern e Justice.fr.
In secondo luogo, l’indagine verte su una possibile degradazione del “quality score” dei concorrenti di Google. I punti di qualità si riferiscono ai servizi a pagamento, per intenderci quelli che compaiono in alto a destra nella pagina di ricerca. Un punteggio di qualità alto indica che gli annunci immessi da un motore di ricerca sono rilevanti e utili per gli utenti. A una buona valutazione conseguono maggiori investimenti pubblicitari.
Un altro filone riguarda la presunta clausola di esclusività con cui Google impedirebbe gli investitori pubblicitari di inserire annunci dei concorrenti sulle sue pagine. Infine, l’inchiesta ha ad oggetto la possibile restrizione della portabilità delle campagne pubblicitarie online verso le piattaforme concorrenti. In pratica, Google non offre ai proprietari di siti web strumenti per esportare gli annunci pubblicitari su altri motori di ricerca.
I vertici di Google si sono difesi, asserendo che l’utente è libero di andare su altri siti e trovare altre informazioni. L’arringa è stata smontata da Microsoft, sceso in campo contro Mountain View nel marzo 2011. Brad Smith, consulente legale del colosso di Redfort, ha ricordato che la competizione non si basa sulla semplice ricerca, ma anche su strumenti alternativi come l’indicizzazione del web e la distribuzione dei search box.
Per quanto riguarda il primo punto, Smith ha accusato Google di aver impedito agli altri motori di ricerca di accedere a Youtube (che dal 2006 è di proprietà di Google). In più, nel 2010 avrebbe negato a Windows Phone l’accesso al noto sito di condivisione dei video, permettendolo invece all’Iphone di Apple. Un’altra accusa del legale riguardava le opere orfane. Con questo termine si definiscono le opere assoggettate al regime di protezione del diritto d’autore, ma i cui titolari di diritti sono sconosciuti e introvabili. Negli USA, Google ha scannerizzato i testi delle opere riservandosi di regolare i diritti per i possibili titolari. Il tribunale di New York ha bloccato il progetto Google Book, sostenendo che la concessione esclusiva a Google delle opere orfane avrebbe indebolito i concorrenti. Smith si è augurato che simili decisioni venissero prese anche dalle autorità europee. In merito ai search-box, le finestre di ricerca che i motori immettono su altri siti, Smith ha fatto notare che praticamente tutti fossero “powered by Google”.
Col passare dei mesi altri operatori si sono iscritti all’inchiesta contro Google. L’ultimo in ordine cronologico è Twenga, sito francese di comparizione dei prezzi, che ha fatto notare che il motore di ricerca americano promuove i propri servizi, penalizzando i siti dei concorrenti. Al giorno d’oggi, sono 10 i fornitori di servizi schierati contro Google. Joaquin Almunia, Commissario UE alla concorrenza, ha dato un ultimatum al colosso del web: risoluzione dei problemi o battaglia legale. L’impressione è che Google, non convinto dalle argomentazioni della Commissione, sceglierà la seconda via.