GOOGLE TAX E SPQN: GLI OTT IN FRANCIA TRA L’INCUDINE E IL MARTELLO

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Per i colossi del web, i cosiddetti OTT, non c’è pace in Francia. Da una parte i politici, che hanno ricominciato a discutere della Google Tax, dall’altra gli editori, anche loro alle prese con manovre per tassare gli attori di Internet. Le motivazioni sono differenti, ma il fine è lo stesso: costringere Google e company a pagamenti proporzionali ai ricavi ottenuti su territorio nazionale.

La Google Tax, che non si applica solo al gigante di Mountain View , introduce per le compagnie francesi un’imposta pari all’1% dell’ammontare speso per la pubblicità online. L’obiettivo dello Stato è quello di trattenere una larga parte delle grosse entrate pubblicitarie di Google. La misura legislativa è giustificata dalla mancanza degli investimenti per le infrastrutture di rete da parte degli OTT, i quali occupano però posizioni dominanti sul mercato. I giganti del web si sottraggono ai tributi con delle vere e proprie “catene fiscali” che coinvolgono più Stati. Alcuni numeri: queste società producono un fatturato di 3 o 4 miliardi, ma non pagano più di 4 milioni di tasse; d’altra parte il solo Google realizza il 4% del PIL e fornisce 300.000 posti di lavoro. Nel giugno 2011 il provvedimento è stato soppresso dal Parlamento, perché reo di abbattersi troppo su un settore economico in crescita. Opinione condivisa dal Consiglio Nazionale del Digitale, organo creato per coordinare le azioni del Governo e degli operatori tecnologici. Ora però il Senato ha ripreso a dibattere sui modi per tassare gli OTT che attuano discutibili politiche di ottimizzazione fiscale.

Tiene banco anche l’iniziativa adottata dal SPQN, Sindacato degli editori dei quotidiani nazionali, avente ad oggetto una tassa ai danni di ISP e motori di ricerca per lo sfruttamento delle informazioni messe online dagli editori. Anche in questo caso, i numeri possono essere d’aiuto. I siti della stampa raggiungono ogni mese 25 milioni di persone, 6 dei 7 siti più letti hanno come tema l’informazione giornaliera, meno di un decimo degli investimenti digitali si traduce in ricavi. Gli editori propongono di applicare alla stampa lo stesso meccanismo redistributivo che sostiene i settori audiovisivo, cinematografico e musicale. Il sindacato pensa ad entrate di 140-150 milioni di euro all’anno, da destinare ai siti degli editori. Un’altra annosa proposta riguarda l’applicazione del 2,1% di IVA ai prodotti digitali, in linea con quella dei prodotti cartacei. L’IVA attuale ha un valore del 19,6%. La richiesta, però, non è mai stata presa in seria considerazione, dato che si scontra con le disposizioni della Commissione Europea.

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