La denuncia ai danni di Mountain View del gruppo editoriale Copiepresse (che rappresenta Le Soir, Le Libre Belgique, ed altre 15 testate del Belgio) ha raggiunto un risultato che ha superato le attese, dopo che la sentenza del giudice belga ha imposto al motore di ricerca la totale rimozione dei link rimandanti ai siti di informazione in lingua francese e tedesca, pena una sanzione di 25mila euro da applicarsi quotidianamente. Si tratta della seconda condanna per Google dal 2006, quando i tempi non risultavano ancora maturi per spingere alcuni dei grandi editori del paese ad affidare ad un motore di ricerca il destino di una parte del settore, quello dell’editoria online. A settembre dello stesso anno la Corte di Prima Istanza di Bruxelles si era pronunciata a favore del gruppo editoriale ordinando a Google la rimozione degli articoli e delle fonti nonché la pubblicazione del testo della sentenza sulla homepage del sito pena una multa di 500mila euro al giorno. Nel febbraio del 2007 la giustizia ha poi decretato la colpevolezza del motore di ricerca che ha fatto immediatamente ricorso in appello. Una presa di posizione irremovibile, quella del gruppo querelante, che con il passare del tempo ha però fatto sì che Microsoft e Yahoo! giungessero ad avere oggi una scarsa capacità di contribuire al traffico verso quegli stessi siti, mentre Google news, dopo la seconda condanna, dovrebbe ora provvedere alla sistematica eliminazione di qualsiasi traccia che dia visibilità “gratuita” a quelle stesse testate online. Questo perché la colpa maggiore del sito sarebbe quella di aver mantenuto in chiaro pagine web che invece, successivamente, erano diventate a pagamento, essendo state inserite in un archivio online accessibile ai soli abbonati al servizio.
Ma chi ci rimette di più, il colosso statunitense o gli stessi editori? Ad uno sguardo più attento la sentenza non avrebbe decretato solo la morte parziale dell’aggregatore di news colpevole di fungere da vetrina dei contenuti coperti dal diritto d’autore, ma sancirebbe in parte anche la fine di qualsiasi possibilità di dialogo tra Google e gli stessi editori, dovendo ora sottostare ad una decisione presa dall’alto che va ben oltre la segnalazione da parte dei querelanti o il meccanismo di rimozione volontaria tramite il sistema robots.txt messo a disposizione da Mountain View. Il che implicherebbe la progressiva e indiscriminata scomparsa di quei siti da una vetrina così importante come il servizio Google news che tiene aggiornati i navigatori minuto per minuto.
La reazione più probabile del colosso Usa sarebbe quella di ricorrere in Cassazione, onde evitare che altri potenziali detentori di copyright sui contenuti catalogati e diffusi nel mondo, possano decidere di approfittare di tale sentenza ed intraprendere una nuova crociata. Intanto gli editori belgi alzano ancor di più la posta in gioco, depositando una nuova denuncia in cui si richiedono danni tra 32,8 e 42,2 milioni di euro per gli articoli illecitamente indicizzati ed archiviati in casche da Google a partire dal 2001 e comparsi dal 2006 su Google News.
Ma quanto una questione di principio, quello ineccepibile del rispetto del copyright, può effettivamente tradursi in un vantaggio economico, che attiene alla visibilità di un sito e alla sua facile reperibilità nei motori di ricerca? Un’idea, anche se approssimativa, ce la fornisce un recente studio condotto nell’ambito del Progect for Ecxellence in Journalism del Pew Research Center. L’indagine verte sull’analisi del comportamento degli utenti durante la navigazione sul web monitorata per un periodo di 6 mesi nel 2010, configurando tre macroaree di interesse: come i navigatori giungano ai siti di informazione, quale sia il tempo di permanenza durante ogni visita e dove si indirizzino ad ogni ricerca successiva. Ebbene soffermandosi sui 25 maggiori siti di informazione statunitensi (attraverso dati Nielsen) ne è venuto fuori che Google (con tutti i suoi servizi) si attesti come il principale punto di accesso, essendo responsabile in media del 30% del traffico a quegli stessi siti contro il 3% totalizzato da Facebook con gli “I like” ed i link condivisi in bacheca. Eppure la ricerca mette in evidenza come l’influenza di Google risulti meno rilevante per quei siti che siano essi stessi aggregatori di dati, come Yahoo! ed Aol news. Si tratta comunque di risultati che certo confermano l’importanza del posizionamento nei motori di ricerca di qualsiasi sito che punti ad essere reperito dai navigatori sul web, il che spesso può rivelarsi un’arma a doppio taglio per i content provider come il caso del Belgio sembrerebbe testimoniare.
Manuela Avino
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