Google alla guerra “santa” contro un intero Paese. Non è uno Stato canaglia ma pare evidente che per gli standard di Mountain View la strada che divide Pyongyang da Camberra non è così lunga e imparagonabile come, invece, lo è in realtà.
Il “problema” è che il governo australiano non ha alcuna intenzione di mollare sul fronte dei copyright e ha chiesto a Google di pagare – come sarebbe giusto – i diritti agli autori e ai media delle notizie che vengono utilizzate nei loro aggregatori digitali.
Dato che il governo australiano non ha la minima intenzione di recedere, ecco che la dirigenza della società americana ha scelto di minacciare il “ban” australiano. L’esecutivo di Camberra non è rimasto lì ad attendere né ha dato a vedere di avere intenzione di attendere l’evolversi della vicenda, magari tentando una composizione con il cappello in mano. Il primo ministro Scott Morrison ha bollato l’iniziativa di Google come un ricatto.
La vicenda australiana è decisiva perché si tratterebbe della prima volta che nel mondo occidentale, o meglio, nell’area angloamericana un governo otterrebbe da una società di Big Tech il pagamento a favore dei media. Solo qualche giorno fa ci era riuscita la Francia, e l’Unione Europea ha intanto richiamato a Bruxelles i Ceo degli over the top. Ma, rispetto all’Ue, Canberra è molto più vicina a New York di quanto lo sia Parigi. Dunque, dall’Australia potrebbe partire l’onda che rischia di sanare, una volta per tutte, una stortura innegabile del mercato che impoverisce i media.